Quali sono i rischi legati all’ipertensione, sia nel medio periodo che a lungo termine?

L’ipertensione arteriosa colpisce circa il 30% della popolazione di entrambi i sessi e, nelle donne, è più frequente dopo la menopausa. Come fattore di rischio, l’ipertensione arteriosa aumenta la probabilità che si verifichino malattie cardiovascolari come l’infarto miocardico o l’ictus cerebrale. Per questo motivo, individuarla e curarla è fondamentale. L’ipertensione viene definita l’assassino silenzioso perché quasi mai l’aumento dei valori pressori si accompagna alla comparsa di sintomi, quali mal di testa, senso di stordimento, vertigini, ronzii auricolari, etc. Dal momento che la malattia è silente, controllare periodicamente la pressione arteriosa è uno snodo cruciale della prevenzione. Ciò, evidentemente, non è però sufficientemente considerato: l’ipertensione arteriosa, infatti, è tutt’ora in Italia la prima causa di scompenso cardiaco e ictus cerebrale, la prima/seconda causa di infarto del miocardio e, infine, la seconda causa di insufficienza renale cronica. Inoltre l’ipertensione arteriosa si manifesta spesso prima, simultaneamente oppure dopo obesità, diabete, iperuricemia e/o dislipidemia, in maniera progressivamente crescente con il crescere dell’età. Per questo, è forte la necessità di implementare la prevenzione cardiovascolare e consentire il raggiungimento anche delle età più avanzate in condizioni ottimali. Purtroppo, a fronte di questo assunto, appare difficile arrivare all’obiettivo indicato caso per caso, anche nelle persone che sono in trattamento antipertensivo. Lo confermano i risultati di “Save Your Heart” studio osservazionale, trasversale, multicentrico condotto in farmacie spalmate sul territorio italiano in oltre 500 pazienti di età superiore o uguale a 50 anni. Nello studio sono stati arruolati soggetti di entrambi i generi, tutti ipertesi in trattamento antipertensivo, disponibili ad effettuare la misurazione di pressione arteriosa, profilo lipidico e glicemia nonché la compilazione di un questionario sulla aderenza alle terapie in corso. La ricerca ha evidenziato l’insufficienza del controllo dei fattori di rischio nei pazienti in trattamento antipertensivo e, ne consegue, la necessità assoluta di intercettare coloro i quali sottovalutano o non sono a conoscenza dei potenziali danni a cui sono esposti. Dallo screening è emerso che circa il 70% dei partecipanti non cura efficacemente l’ipertensione arteriosa da cui è affetto, il 66% ha livelli di colesterolo LDL non accettabili e il 70% degli ipertesi diabetici non ha un buon controllo della glicemia. C’è in conclusione la necessità di un approccio clinico che miri a identificare, trattare efficacemente e seguire nel tempo i soggetti ipertesi, al fine di evitare possibili conseguenze cardiovascolari nel medio e nel lungo termine.

Claudio Ferri, Ordinario Medicina interna, Università dell’Aquila

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Linfoma a cellule B, ci sono nuove terapie

Ho letto che per alcune forme di tumore del sangue come il linfoma a cellule B si stanno studiando nuovi anticorpi e terapie innovative. Cosa sono e come funzionano?

Si tratta di una patologia rara e molto aggressiva che colpisce in Italia circa 4400 persone l’anno, in maggior parte di età adulta. Almeno il 35% dei pazienti purtroppo non risponde ai trattamenti standard o sviluppa successivamente recidive. Per questi pazienti “difficili” abbiamo assistito a un fiorire di tecniche altamente innovative per il loro trattamento che fanno ben sperare visti i risultati finora ottenuti. La prospettiva di guarigione dipende dal tipo di linfomi ma oggi le possibilità di sconfiggere anche tumori aggressivi come i linfomi a cellule B, che non rispondono alle terapie standard o si dimostrano recidivi, sono molto aumentate. In particolare il nostro Istituto è partner di un progetto di ricerca d’avanguardia, che mira a valutare l’efficacia di anticorpi di ultima generazione detti bispecifici perché in grado di attaccare le cellule del linfoma e, contemporaneamente, risvegliare le difese immunitarie.

Umberto Vitolo, Ematologia e Oncologia Irccs di Candiolo

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Guariti dal tumore, ma discriminati

Si può dire “guariti dal cancro”?

Grazie ai progressi della medicina, circa un milione di italiani, tra cui 20.000 sardi, possono essere considerati guariti dal cancro e hanno la stessa aspettativa di vita di persone di uguale sesso e pari età. Oggi possiamo misurare la guarigione dal tumore in funzione del tipo di tumore e del tempo trascorso dalla sua diagnosi. Generalmente si fa riferimento a un arco temporale di 5 anni per tumori diagnosticati in età infantile e adolescenziale e di 10 anni per tumori diagnosticati in età adulta. Utilizzare la parola “guarito” è importante da un punto di vista psicologico ma questo termine deve essere sdoganato anche per la sua valenza sul piano sociale e lavorativo di chi ha vissuto l’esperienza del tumore e ha diritto a una vita senza discriminazioni. Chi ha avuto un tumore, pur se guarito, ha difficoltà ad accedere ad alcuni servizi, come la richiesta di mutui e di prestiti, la stipula di assicurazioni e l’adozione di figli. Paesi come Francia, Belgio e Portogallo hanno già legiferato per il diritto all’oblio oncologico, per garantire il diritto a non dare informazioni sulla malattia. È un atto civile che anche in Italia si legiferi in tal senso: è importante aderire alla campagna della Fondazione Aiom “dirittoallobliotumori.org”.

Daniele Farci, responsabile Oncologia Nuova casa di cura di Decimomannu e coordinatore regionale Aiom

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Ansie e paure, altre ferite della guerra

Perché ci sentiamo ansiosi per il conflitto Russia-Ucraina?

Lo stato di disorientamento si sta amplificando dal momento che non siamo ancora usciti dallo stato di allerta legato alla pandemia e si aggiunge la preoccupazione per la guerra in Ucraina. Da due anni siamo esposti costantemente all’imprevedibilità e gli attuali scenari di guerra stanno influendo in modo rilevante sulla nostra capacità di far fronte ai pericoli e resistere alle difficoltà, innescando reazioni d’ansia e paura. Nonostante la guerra in Ucraina sia solo una delle tante in corso, fattori come distanza, differenza di ideali, diverse religioni, non condivisione di uno stesso continente, ci fanno percepire gli altri conflitti come “lontani”. Anche se, attualmente, questo conflitto non riguarda direttamente il nostro Paese, la sensazione di essere in guerra è comunque attiva in noi dal momento che il flusso di informazioni proveniente da TV, radio, internet, genera la percezione che il conflitto sia fuori le nostre porte di casa. Iniziare ad accettare che molte vicende sono fuori dal nostro controllo senza rinunciare a progetti e obiettivi è il primo passo per sopravvivere, pur auspicandosi la pace.

Marco Pinna, Psicologo clinico Centro Bini Cagliari, Clinica psichiatrica e SPDC Ss Trinità

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