A chi non è mai capitato di fare fatica ad addormentarsi o di non riuscire a dormire abbastanza a lungo da risvegliarsi ben riposato? Sono infatti molte le persone che soffrono di disturbi del sonno: nel nostro Paese se ne contano tra i 12 e i 15 milioni, circa un italiano su quattro. Ne sono interessate soprattutto le donne, il 60% del totale, con un’incidenza maggiore durante il periodo della menopausa.

I sottogruppi

Spesso si parla di insonnia al singolare, come se ci si riferisse ad un unico problema, ma la realtà è che la condizione di insoddisfazione legata alla qualità e alla quantità del sonno è scomponibile in diversi disturbi.

Secondo Tessa Blanken, dell’Istituto olandese di Neuroscienze, è possibile individuare cinque diversi sottotipi associabili ad altrettanti profili di personalità. Soffrono di insonnia gli ansiosi, che tendono a farsi paralizzare dai pensieri negativi; gli stressati, spesso giù di tono nel momento in cui non ricevono gratificazione per quello che fanno; i depressi, con un appiattimento dell’umore verso il basso e di solito svegli nel cuore della notte fino al mattino; gli individui psicologicamente fragili, destabilizzati da alcuni eventi tanto da avere un sonno frammentato; infine le persone poco reattive, abituate a subire senza reagire.

Le cause

Le cause che possono provocare problemi in questo ambito sono numerose. Una delle più diffuse è rappresentata dalle cattive abitudini, come ad esempio coricarsi troppo tardi, ad orari sempre differenti, oppure dormire eccessivamente durante il giorno.

Anche un pasto abbondante o la mancanza di attività fisica sono nemici del buon riposo. Incidono poi negativamente l’utilizzo di dispositivi elettronici nelle ore che precedono il momento di andare a letto o l’assunzione di alcune categorie di farmaci (come gli antidepressivi, i medicinali per l’epilessia e gli steroidei). Si aggiungono i turni di lavoro che scombussolano il ritmo sonno-veglia e il consumo di teina e caffeina prima di dormire.

Come anticipato nella descrizione delle categorie di insonni, anche i fattori psicologici svolgono un ruolo importante: stress e ansia possono infatti diventare tanto “pesanti” da sostenere da rendere difficile il riposo.

Ci si mettono poi anche le problematiche fisiche, come le malattie cardiache e la presenza di dolore costante. Da non sottovalutare l’ambiente dedicato al sonno: un letto scomodo, una stanza troppo illuminata, rumorosa, calda o fredda hanno infatti effetti negativi.

Le buone abitudini

Adottare abitudini corrette aiuta a far sì che le notti siano davvero da “sogni d’oro”. Può rivelarsi utile, ad esempio, rendere più soft le ore che precedono il momento di coricarsi, facendo un bagno caldo o ascoltando musica rilassante, evitando di guardare la televisione o di utilizzare lo smartphone.

Se l’obiettivo è quello di aumentare il tempo dedicato al sonno notturno si consiglia poi di ridurre o eliminare completamente i riposini, cercando di addormentarsi e risvegliarsi sempre allo stesso orario. Può contribuire a migliorare la situazione anche una rivisitazione dell’ambiente del sonno: tende oscuranti alle finestre, maschera per gli occhi e tappi per le orecchie possono contribuire a fare la differenza.

Le malattie correlate

Sottovalutare sul lungo termine gli effetti dannosi legati alla mancanza di un riposo rigenerante può portare a conseguenze negative. Soltanto per citarne alcuni, un sonno difficoltoso e interrotto ripetutamente porta, ad esempio, a disturbi di ansia, apnee notturne, broncopneumopatia cronica ostruttiva e cefalea. A queste problematiche vanno aggiunte anche depressione, disturbo bipolare, dermatite atopica e intolleranze alimentari.

Meglio dunque non indugiare troppo prima di rivolgersi al proprio medico di fiducia: un riposo non appropriato può infatti ridurre le energie a disposizione durante la giornata e comportare altre ripercussioni sulla salute psicologica e mentale.

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Le terapie da seguire per fare “sogni d’oro”

Quando un disturbo del sonno diventa invalidante, tanto da compromettere la qualità di vita rendendo difficile l’esecuzione di semplici attività quotidiane, è necessario richiedere il supporto di un medico.

La terapia cognitivo-comportamentale basata, come dice il nome stesso, sull’integrazione tra tecniche cognitive e interventi comportamentali per migliorare l’igiene del sonno costituisce la via non farmacologica più indicata, in grado di migliorare la qualità del riposo nel 75-80% dei soggetti.

Questo trattamento, privo di effetti collaterali e capace di mantenere la riduzione dei sintomi nel tempo, è particolarmente indicata per attenuare gli effetti dell’insonnia cronica, contraddistinta da sintomi che perdurano per più di quattro settimane, tipicamente per sei mesi o più.

Stando ai protocolli descritti in letteratura, la terapia si svolge nell’ambito di sei o otto sedute. Si comincia con una valutazione iniziale da parte dello psicologo e con l’esecuzione di questionari pensati per individuare alcune caratteristiche psicologiche e comportamentali della persona che soffre di disturbi del sonno.  Ad integrazione della terapia può essere utile effettuare la polisonnografia, un test diagnostico, eseguito mentre il paziente dorme, che misura vari parametri vitali, come la respirazione, l’ossigenazione del sangue, la frequenza del battito cardiaco e la presenza di apnee notturne. Si passa poi alla terapia cognitivo-comportamentale vera e propria, con l’utilizzo integrato di diverse tecniche finalizzate a modificare i pensieri e le abitudini che incidono sul sonno,  e alla fase di valutazione finale. Le sedute hanno una durata che varia dai 30 ai 90 minuti e possono essere svolte individualmente o in gruppo.

Benzodiazepine

Nei casi più gravi, quando lo stato di stress è fortemente marcato e la terapia risulta inefficace, il medico prescrive farmaci ad hoc. I più diffusi sono quelli contenenti benzodiazepine, in grado di favorire la tranquillità e il relax.  Quanto al dosaggio e alla frequenza di utilizzo, è fondamentale seguire in maniera ferrea le indicazioni del medico: l’impiego di questi farmaci per lunghi periodi è sconsigliato perché con il passare del tempo diventano inefficaci e creano dipendenza, andando a causare effetti indesiderati, come sonnolenza e vertigini persistenti, difficoltà a concentrarsi o a prendere decisioni, condizioni di apatia e sensazione di irritabilità.

I farmaci Z

In alternativa, fanno parte dei medicinali che inducono il sonno quelli che vengono definiti farmaci Z, sedativi che contengono come principio attivo lo zolpidem, lo zopiclone o lo zaleplon. Assunti mezz’ora prima di dormire, vanno ad agire su particolari recettori, i Gaba, e riducono l’eccitabilità dei neuroni esercitando un’azione tranquillante e ipnotica.

La melatonina

Infine, l’assunzione controllata di melatonina, un ormone naturale utile nel regolare il ciclo del sonno, costituisce un utile rimedio nell’alleviare l’insonnia nei pazienti dai cinquant’anni in su.

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Le conseguenze sulla memoria

Nelle persone più anziane la tendenza a dormire poco e male potrebbe portare a conseguenze negative anche in termini di lucidità e capacità di ricordare: l’insonnia aumenta infatti la probabilità di andare incontro ad un calo di memoria. è questa la conclusione di uno studio coordinato dal Canadian Sleep and Circadian Network di Montreal e pubblicato sulla rivista “Sleep”.

Lo studio

Per arrivare a questo risultato sono stati analizzati i dati di oltre 26mila persone di età compresa tra i 45 e gli 85 anni. L’indagine ha previsto il confronto tra le valutazioni auto-riferite sul sonno frutto di una serie di test della memoria effettuati nel 2019 e nel 2022.

I risultati

I partecipanti che avevano evidenziato un peggioramento della qualità del riposo nel corso dei tre anni avevano una probabilità maggiore di essere oggetto di un decadimento delle capacità mnemoniche. Oltre alla difficoltà nel dormire in modo sereno e continuativo, tra gli anziani veniva spesso constatata una predisposizione verso altre problematiche, come ad esempio ansia, depressione, sonnolenza diurna, interruzioni della respirazione durante il sonno: tutti disturbi che fanno parte dei fattori di rischio più diffusi nel favorire la demenza. Risulta interessante notare, poi, come fossero gli uomini ad essere oggetto di un peggioramento più marcato delle capacità mnemoniche.

Il commento

“Il deficit in questo ambito è specifico: abbiamo esaminato altri domini delle funzioni cognitive, come il multitasking, ma abbiamo trovato differenze solo nella memoria”, ha dichiarato Nathan Cross, tra gli autori che hanno portato avanti la ricerca.

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