L’infiammazione di una vena superficiale causata da un trombo che può ostruirne la cavità interna e impedire al sangue di circolare correttamente. Questa la definizione che l’Istituto Superiore di Sanità dà della flebite, patologia conosciuta anche come tromboflebite o trombosi venosa superficiale. Si tratta dunque di una malattia che colpisce le vene, cioè i vasi sanguigni deputati a trasportare il sangue dalle varie zone dell’organismo fino al cuore. La flebite, comunque, tende a manifestarsi con maggiore frequenza negli arti inferiori, anche se non è da escludere l’insorgenza nelle vene di altre zone del corpo.

I sintomi

La manifestazione più comune della flebite è il gonfiore della vena interessata, a cui spesso si associano l’arrossamento e un senso di dolore nella parte colpita, che può risultare più dura al tatto. Un altro campanello d’allarme è dato da una sensazione di calore della parte interessata. Questi disturbi, solitamente, si risolvono in un arco di tempo che può andare dalle due alle sei settimane. Attenzione però: in alcuni casi la flebite può generare anche febbre elevata, dolore al petto e difficoltà a respirare. In queste situazioni occorre rivolgersi immediatamente al pronto soccorso perché c’è il rischio che la flebite possa in realtà nascondere una trombosi venosa profonda, patologia grave che può portare all’embolia polmonare.

I fattori di rischio

Come prevenire l’insorgere della flebite? I fattori di rischio sono comuni a quelli delle altre malattie dell’apparato cardio-circolatorio e includono, dunque, l’obesità, la scorretta alimentazione, il fumo e l’assunzione di droghe. Alcuni soggetti che presentano alterazioni della coagulazione del sangue sono comunque più esposti, a prescindere dallo stile di vita adottato: ad esempio, persone con casi di trombofilia in famiglia, donne che assumono la pillola contraccettiva o farmaci ormonali sostitutivi, future mamme, malati di alcuni tumori. Inoltre, ha maggiori probabilità di soffrire di flebite chi già deve fare i conti con un altro disturbo della circolazione: le vene varicose. Essendo la flebite collegata al rallentamento della circolazione venosa, causata soprattutto dalla formazione di coaguli e trombi, per diminuire il rischio è importante anche dedicare del tempo a una costante attività fisica, vero “toccasana” per l’apparato circolatorio. Per quanto riguarda in particolare la flebite, andrebbero evitate le situazioni di prolungata sedentarietà o immobilità, evitando di rimanere troppo a lungo seduti nella stessa posizione durante le giornate in ufficio o i lunghi viaggi in treno o in aereo. Il rischio di flebite aumenta anche per chi è costretto a lungo a letto, magari dopo aver subito un intervento chirurgico. Infine, la patologia può svilupparsi anche a seguito di traumi da schiacciamento delle vene o l’inserimento di catetere intravenoso.

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Non sottovalutare i primi sintomi: possono essere spia di una trombosi a livello profondo

La flebite è una patologia che si tende a sottovalutare, visto che le manifestazioni cliniche, seppur sicuramente fastidiose, non sono particolarmente debilitanti. Questa problematica, però, può essere la spia di disfunzioni circolatorie che possono sfociare in situazioni ben più allarmanti e rischiose per l’organismo, quali la trombosi venosa profonda (TVP) in grado di portare a complicazioni mortali, come l’embolia polmonare. Dunque, quando si avvertono i gonfiori e gli arrossamenti tipici della flebite è sempre opportuno rivolgersi al proprio medico che, in base ai sintomi e all’osservazione della zona interessata, sarà in grado di stilare una prima valutazione.

Visite ed esami

Molte volte la semplice visita dal proprio dottore è sufficiente per individuare la flebite e procedere con le terapie del caso. In caso di dubbi sulla presenza di problematiche più gravi, possono essere prescritti esami del sangue o indagini diagnostiche. Nel primo caso, si indaga soprattutto sulla concentrazione del D-dimero (frammento proteico che deriva dalla degradazione della fibrina, proteina coinvolta nella coagulazione) e su eventuali fattori generici. Le indagini diagnostiche, invece, comprendono di solito l’ecografia e l’ecocolordoppler. Se i risultati non sono chiari, si può procedere con altri accertamenti: la TAC, la risonanza magnetica e la venografia. Quest’ultima, in particolare, consiste in una radiografia con mezzo di contrasto capace di individuare la presenza di una trombosi venosa profonda.

La prudenza, dunque, non è mai troppa, visto e considerato che in Italia sono circa 800mila ogni anno le diagnosi di trombosi venosa profonda. Una patologia che può manifestarsi a ogni età, anche se l’incidenza risulta maggiore nelle persone anziane.

Possibili rimedi

Tornando alla flebite, una volta individuata sarà il medico a suggerire le terapie più adatte. In alcuni casi, si tratta di cure piuttosto semplici per contenere il disturbo, effettuabili in automedicazioni.

Tra i rimedi più frequenti ci sono gli impacchi freddi o caldi sulla zona interessata, per limitare gonfiore e dolore. Può essere prescritta l’applicazione di creme antinfiammatorie e antidolorifiche, oppure l’utilizzo di calze elastiche a compressione graduata in grado di favorire la circolazione negli arti inferiori, parte del corpo solitamente colpita dalla flebite. Al di là di questo, la regola d’oro è una sola: sforzarsi di fare attività fisica. Anche una semplice camminata di un’ora al giorno apporta importanti benefici alla circolazione sanguigna. Altro accorgimento da adottare, quando si manifestano i sintomi della flebite, è mantenere la gamba colpita in posizione sollevata: questo aiuta il ritorno venoso ed evita il ristagno di sangue.

Se le terapie più basiche non danno risultati, il medico può decidere di prescrivere dei farmaci antinfiammatori e antidolorifici. I più utilizzati sono gli antinfiammatori non steroidei, come paracetamolo e ibuprofene. è possibile però che vengano indicati anche medicinali anticoagulanti, per favorire la fluidificazione del sangue, oppure fibrinolitici, in grado di sciogliere i coaguli e dissolvere il trombo all’interno della vena.

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Corretta circolazione: le calze elastiche, preziose alleate

Tra i rimedi più utilizzati quando si soffre di flebite (ma anche di altre patologie legate all’insufficienza venosa, come le vene varicose) ci sono le calze elastiche a compressione graduata. L’impiego di questi particolari indumenti è utile a rallentare il peggioramento dei disturbi e a rendere più efficace il trattamento della patologia.

Le funzioni

Le calze possono essere di vario tipo, a seconda della zona dell’arto inferiore su cui si intende agire: gambaletto, autoreggente, collant o monocollant. Il comune denominatore è la capacità di esercitare una compressione differenziata, che risulta massima all’altezza della caviglia per poi diminuire man mano che si procede verso la parte superiore della gamba. In questo modo, l’indumento riesce a favorire il ritorno del sangue verso il cuore, migliorando di conseguenza la circolazione. Nel caso di flebite, la calza ha una duplice finalità. Agisce con funzione preventiva, diminuendo la possibilità che coaguli e trombi interessino altre vene oltre a quella già colpita. Ma, allo stesso tempo, ha un’utilità terapeutica, riducendo l’edema e l’infiammazione della vena e della cute sovrastante. Le calze sono suddivise in quattro classi, in base al grado crescente di pressione che esercitano alla caviglia (da circa 20 mmHg fino a oltre i 40 mmHg). Per le trombosi più superficiali di solito è indicata una calza della prima classe, capace di agire efficacemente su vene sottopelle. Questi indumenti sono considerati a tutti gli effetti dispositivi medici: vanno quindi utilizzati solo in seguito a precisa prescrizione.

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