Ernia iatale, reflusso, gastrite e, dulcis in fundo, ulcera. Benvenuti dentro lo stomaco, organo dell’apparato digerente dove si nascondono tante insidie. Se oggi con una gastroscopia è facile identificare il disturbo di cui si soffre, non altrettanto lo è liberarsene: non resta che rivolgersi allo specialista gastroenterologo, tra i medici più consultati dai 50 anni in su. Prima dei 20 è raro avere un’ulcera ma, con l’avanzare dell’età, la sua incidenza cresce: il picco massimo è al traguardo del mezzo secolo. Non c’è un registro che dica quanti sardi hanno l’ulcera, che può essere gastrica o duodenale (“Peptica” è il termine corretto) ma i casi che passano sotto l’esame dei gastroenterologi sono tanti e, per fortuna, curati con sempre maggior successo. A dirlo è Paolo Usai, professore e direttore della Gastroenterologia del Policlinico Duilio Casula, struttura di eccellenza nel panorama sardo e italiano: «Assistiamo anche nell’Isola a una diminuzione dei casi, anche di quelli più oscuri, e della mortalità». Di ulcera si può morire? «Il sanguinamento è la più frequente complicanza», spiega il professore, «con un’incidenza annuale che varia dal 19 al 57 per 100mila abitanti. L’altra, successiva, è la perforazione, tra 4 e 14 casi». Di qui l’importanza di una diagnosi tempestiva al fine di ottenere la cura più efficace, onde evitare degenerazioni.

Anche i casi sardi, dunque, vengono ricondotti nel trend nazionale, attribuiti per l’80 per cento all’infezione da Helicobacter pylori, scoperto come causa di ulcera da due ricercatori australiani, vincitori del Nobel nel 2005. Sotto accusa anche gli antinfiammatori non steroidei, come l’aspirina, molto utilizzati sugli anziani e per problemi osteoarticolari. «Sarebbe quindi auspicabile - sottolinea Usai - che i pazienti che devono praticare terapie croniche con antinfiammatori vengano sottoposti al test sierologico di screening e i positivi trattati con una terapia eradicante». La «diminuzione drastica» dei casi di ulcera, sia nell’incidenza («che varia dallo 0.03 allo 0.17%») che nella prevalenza («da 0.1 a 2.6%»), è da attribuire proprio alla maggior conoscenza del problema da parte di medici e pazienti ma soprattutto all’utilizzo «quasi capillare» della terapia eradicante per l’Helicobacter. Che, se associato agli antinfiammatori, aumenta il rischio di complicanze e sanguinamento di «circa sei volte».

Nel caso dell’ulcera le spie d’allarme che si accendono non sono sempre uguali per tutti. Il sintomo predominante è il dolore alla bocca dello stomaco, associato al languore, un senso di fame dolorosa, soprattutto di notte: si attenua mangiando o con gli antiacidi, sempre più presenti nelle case dei sardi, primi in Italia nel loro consumo. Altro segnale, al contrario, è quello di sentirsi pieni dopo i pasti. «Questi sintomi, soprattutto quello notturno che sveglia il malato», avverte lo specialista, «deve essere considerato un campanello di allarme sul quale bisogna indagare. La diagnosi avviene tramite l’endoscopia che va sempre associata a prelievi di tessuto, per la diagnosi di Helicobacter, e sull’ulcera, in caso fosse gastrica».

La cura si segue in genere per 10-14 giorni: se c’è l’Helicobacter, quindi nell’80 per cento dei casi, si utilizzano due antibiotici e un gastroprotettore che riduce la produzione di acido dello stomaco. Il successo di questa terapia consente una guarigione definitiva dell’ulcera, in 80 casi su cento, o di tenerla sotto controllo con un trattamento periodico.
© Riproduzione riservata