Cinque diverse tipologie - alcune si risolvono in tempi brevi, altre possono cronicizzarsi - per un’unica infiammazione che può essere di origine infettiva oppure causata da intossicazioni alimentari o dall’assunzione di droghe e alcol. Si tratta dell’epatite; a seconda del virus epatitico maggiore che una persona contrae, si sviluppa la A, la B, la C, l’epatite D (Delta) o, infine, quella E, con caratteristiche simili ma allo stesso tempo diverse.

L’incidenza nazionale

Secondo il Sistema epidemiologico integrato delle epatiti virali acute (coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità), nel primo semestre 2023 sono stati segnalati - a livello nazionale - 105 nuovi casi di epatite A, 71 di epatite B, 27 di C e 31 di epatite E. Nel 2022, i nuovi casi erano stati rispettivamente 140, 109, 55 e 44. A livello europeo, i numeri maggiormente rilevanti riguardano l’epatite C: 14.560 nuovi casi segnalati dai 29 Paesi Ue/See, con un’incidenza di 4,1% casi ogni 100mila abitanti. Nella maggior parte delle situazioni - il 55% - l’infezione viene catalogata come “sconosciuta”, nel 33% dei casi come “cronica”; una parte residuale, rispettivamente 7 e 3%, racconta di infezioni acute o non classificabili.

Questa particolare categoria di epatite - la C - è più frequente tra gli uomini rispetto alle donne, e colpisce la fascia d’età compresa tra i 35 e i 44 anni; per il genere femminile, invece, quest’arco temporale inizia ai 25 anni.

Per quanto riguarda la modalità di trasmissione, quella più diffusa e riportata è l’uso di droghe: 61% tra i casi acuti e il 70% tra quelli cronici. Si tratta quindi di una trasmissione cosiddetta parenterale, cioè per vie diverse rispetto all’assorbimento intestinale; più rari invece gli episodi di contagio per via sessuale e dalla gestante al nascituro.

L’agente infettivo è un hepacavirus e il periodo d’incubazione è compreso tra le 2 settimane e i 6 mesi, anche se il picco si raggiunge tra le 6 e le 9 settimane. Nella maggior parte delle situazioni, l’infezione acuta iniziale si presenta in forma asintomatica e senza ittero (anitterica), che causa la tipica colorazione giallastra di cute e tessuti in risposta a un innalzamento patologico della bilirubina. Viceversa, i primi sintomi possono essere nausea, vomito, febbre, dolori addominali e, appunto, ittero. Generalmente (in una percentuale dell’85%) il paziente andrà incontro a una cronicizzazione della malattia; nell’arco di 10-20 anni, il 20-30% di queste persone sviluppa la cirrosi epatica, che in una percentuale minima (fino al 4%) può degenerare in tumore del fegato. A tutt’oggi non esiste il vaccino contro l’epatite C ma mettere in pratica le buone prassi igienico-sanitarie e di protezione durante i rapporti sessuali a rischio è considerata un’efficace misura di profilassi.

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Antivirale e pulizia debellano il contagio

E e A le più diffuse nei Paesi dove le condizioni igienico-sanitarie sono più scarse. 
Per la seconda esiste un vaccino, consigliato prima di recarsi in questi luoghi

L’epatite - il cui nome deriva dal greco “hêpar” che significa appunto fegato e il cui suffisso “ite” indica un’infiammazione - si classifica utilizzando le prime cinque lettere dell’alfabeto quando la causa scatenante è di natura infettiva legata a un virus; anche batteri (tifo, tubercolosi) e parassiti, tuttavia, possono essere alla base dell’insorgere di questa malattia. Le forme non infettive possono invece essere causate da malattie autoimmuni, fattori metabolici, assunzione di determinati farmaci, intossicazioni alimentari e ingestione di sostanze tossiche.

Diffusione del virus e cure

Tra le varie tipologie, la E è la meno diffusa in Italia ma, al contrario, è molto presente nei Paesi in via di sviluppo. Il primo veicolo di trasmissione del virus sono le feci, che possono contaminare acqua o alimenti a causa delle scarse condizioni igieniche e, di conseguenza, gli esseri umani. Secondo una recente indagine condotta dal ministero della Salute, l’infezione da Hev è tra le cause più comuni di epatite virale nel mondo: colpisce circa 20 milioni di persone (soprattutto nei Paesi in via di sviluppo), più adulti che bambini. In caso di gestanti, può causarne la morte nel 20-25% dei casi nel terzo trimestre della gravidanza. Il periodo d’incubazione oscilla tra le 2 e le 6 settimane, ma la maggior parte dei soggetti infetti non presenta sintomi. Tra questi, si annoverano ittero, riduzione dell’appetito, febbre, dolori addominali e articolari. Allo stato attuale dei fatti, non esiste un vaccino per contrastare questo virus; pertanto, la miglior cura è la prevenzione. Considerato il fatto che l’Hev prolifera e si trasmette in presenza di scarse condizioni igieniche, è bene osservare alcune norme: lavarsi bene le mani (specie prima di maneggiare gli alimenti); evitare di consumare acqua e ghiaccio se la provenienza è ignota; prestare attenzione alla cottura di carne e pesce, in particolare dei molluschi. Buone prassi che andrebbero seguite sempre; rispetto alla possibilità di infettarsi con il virus causa dell’epatite, anche la tipologia A si trasmette per via oro-fecale come la E. 
Va ricordato che il virus si trova nelle feci circa 10 giorni prima dell’insorgenza dei sintomi e fino a una settimana dopo, mentre nel sangue è presente solo alcuni giorni. Il contagio accade da persona a persona per contatto diretto, oppure per mezzo dell’assunzione di acqua o cibi crudi o cotti in modo insufficiente: da qui, le regole sopra elencate da rispettare. Il virus dell’epatite B invece si trasmette per via parenterale, ma non per contatto. 
La forma A dell’epatite viene curata con un adeguato riposo, una dieta leggera e il non consumo di bevande alcoliche, mentre per le forme B e C possono essere prescritti anche dei farmaci antivirali. 
Per quest’ultima non esiste il vaccino, per cui occorre prestare attenzione a strumenti che possono essere sporchi di sangue (forbici, rasoi, siringhe, spazzolini) e a utilizzare il preservativo per rapporti sessuali a rischio.

Il vaccino invece viene somministrato per le forme di epatite classificate come A e B: nel primo caso non è obbligatorio ma consigliato prima di affrontare viaggi in luoghi come Centro e Sud America, Medio Oriente, Asia e Africa; nel secondo è invece obbligatorio in età pediatrica e la sua protezione si estende anche alla forma D.

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