La lotta all’artrite reumatoide dispone di un’arma in più e a costi più accessibili. È la molecola tocilizumab, il primo anticorpo monoclonale tra gli inibitori dell’interleuchina-6 ad apparire sulla scena della lotta a questa patologia e che ora ha tutti i presupposti per essere utilizzato efficacemente anche in prima linea e perfino in monoterapia, quando cioè non è possibile la sua associazione con metotrexato nel caso di pazienti che non rispondono a questa molecola o sono ad essa intolleranti.

Il tema è stato oggi al centro di un evento in programma a Roma (Fondazione Sturzo) alla presenza di farmacologi, clinici e pazienti.

«Tocilizumab è una molecola importante che ha un suo preciso posizionamento nell’ambito della medicina personalizzata perché è stato il primo farmaco che ha consentito di contrastare l’artrite reumatoide senza doverlo necessariamente associare al metotrexato» spiega Maurizio Rossini, professore ordinario di Reumatologia all'Università di Verona e Direttore della UOC di Reumatologia della AOUI di Verona. «La sua disponibilità come biosimilare – prosegue Rossini – contribuisce anzitutto in modo importante alla sostenibilità della spesa farmaceutica, generando risparmi che ampliano le possibilità di accesso alle cure per un maggior numero di pazienti, consente inoltre di ovviare ai problemi di approvvigionamento verificatisi in passato, oltre a rappresentare un’opportunità terapeutica in più specie in quelle regioni che dispongono l’uso del biosimilare come farmaco di prima scelta».

Quello dell’artrite reumatoide è un tema che incide pesantemente sul sistema socio-sanitario italiano: i dati di uno studio CEIS dell’Università di Roma Tor Vergata evidenziano un costo complessivo annuo di oltre 2 miliardi di euro dei quali il 45 per cento – 931 milioni - attribuibili ai costi diretti sanitari, 205 milioni a carico dei pazienti in termini di costi diretti e circa 900 milioni per i costi indiretti generati dalle prestazioni previdenziali o dalla perdita di produttività per giornate di lavoro perse. Dati, questi, che fanno comprendere la dimensione della sfida che il Servizio Sanitario Nazionale deve affrontare dal punto di vista della sostenibilità e dell’accesso all’innovazione e che rendono centrale il contributo che può derivare dall’impiego dei farmaci biosimilari per decongestionare l’impatto della spesa in questo specifico ambito sanitario.

«Tocilizumab è un anticorpo monoclonale ricombinante umanizzato che si lega in modo selettivo ai recettori dell’interleuchina-6 della quale inibisce l’attività infiammatoria causa del danno articolare – ha sottolineato il professor Pierluigi Navarra, Ordinario di Farmacologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – l’ampia esperienza clinica su questo farmaco ne conferma l’efficacia e l’importante profilo di sicurezza a breve e a lungo termine, oltre a farne una valida opportunità di trattamento, con somministrazione sottocutanea a frequenza settimanale, sia in monoterapia che in abbinamento con metotrexate». «Un’opzione terapeutica – ha proseguito il farmacologo - caratterizzata da un positivo rapporto costo/efficacia in quanto ora disponibile come biosimilare».

La possibilità di ampliare in modo significativo il numero dei pazienti che possono avere accesso a terapie sempre più efficaci insieme alla necessità assoluta di assicurare la sostenibilità della spesa sanitaria ha progressivamente consentito di superare l’iniziale riluttanza delle associazioni dei pazienti rispetto all’uso dei farmaci biosimilari, anche se permane la necessità di assicurare un’adeguata informazione ai destinatari delle cure oltre che di tutelare il principio della libera scelta per il medico circa la terapia da adottare. «Nel paziente che viene sottoposto a cure con i biosimilari può a volte emergere il timore di essere trattato con un farmaco di serie B e quindi di essere “sacrificato” sull’altare di logiche di tipo economico – ha rilevato Teresa Petrangolini, Direttore Patient Advocacy Lab di ALTEMS, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – è quindi di estrema importanza che, quando questo si verifica, il medico informi e tranquillizzi il paziente su efficacia, affidabilità e sicurezza della cura adottata, proprio in considerazione degli elevati standard qualitativi dei biosimilari che sono identici a quelli dei farmaci originali».

«La possibilità di poter avere ora la disponibilità di Tocilizumab anche come biosimilare è un’opportunità terapeutica importante che consente di allargare la platea e il numero di persone eleggibili al trattamento, garantendo così un miglioramento nell’accesso al farmaco – precisa Antonella Celano, Presidente APMARR, Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare – Grazie ai progressi compiuti negli ultimi venti anni dalla ricerca scientifica in reumatologia l’armamentario terapeutico a disposizione dei reumatologi si è progressivamente arricchito di farmaci sempre più innovativi per il trattamento delle artriti infiammatorie croniche. L’immissione in commercio dei farmaci biosimilari ha rappresentato una vera e propria rivoluzione in termini di risparmio di risorse sanitarie e di un maggiore accesso alle cure per le persone con patologie reumatologiche».

(Unioneonline/v.l.)

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