Alzheimer giovanile, raro ma non impossibile

Può capitare che ci siano casi di malattie come l’Alzheimer anche nelle persone più giovani o il quadro è solo tipico dell’anziano?

Esistono forme di demenza giovanili (Young Onset Dementia o Yod). La loro prevalenza cresce con l’aumentare dell’età: tra i 30-34 anni siamo a 6 ogni 100.000 persone, tra i 34-64 anni si arriva a 119 per 100.000 e si sale a 60-64 anni: in quella fascia 853 persone su 100.000 possono avere problemi di questo tipo. Tra le Yod esistono forme ereditarie causate da mutazioni genetiche. Nelle forme di demenza di Alzheimer non rappresentano però più dell’11% dei casi. Ciò apre spazio alla possibilità che metodiche innovative di studio genetico molecolare possano risolvere i casi dubbi. I quadri clinici in queste forme sono prevalentemente atipici, spesso con disturbi psichiatrici col conseguente rischio di essere spesso misdiagnosticate. Una quota non irrilevante ha un’importante componente metabolica come per esempio la malattia di Niemann Pick di tipo C, una forma tipicamente infantile che però presenta anche forme Late Onset che ricadono nelle Yod. La diagnosi è un percorso clinico-neurologico-neuropsicologico-internistico-biologico e strumentale che prevede: accurata indagine anamnestica personale, ricostruzione dell’anamnesi familiare, ricerca di possibili consanguineità, verifica di luoghi di provenienza noti in letteratura per essere origine di cluster genetici particolari. Solo partendo da un’accurata ipotesi diagnostica si passa ad eventuali ulteriori indagini metaboliche e/o di genetica molecolare. Elemento centrale nella diagnosi è la valutazione neuropsicologica con batterie standardizzate, ma per la frequente atipicità delle forme la Yod occorrono anche indagini liquorali nonché neuroradiologiche morfologiche e funzionali (Risonanza magnetica, PET, Risonanza magnetica funzionale etc). La diagnosi innesca percorsi socio-assistenziali ed eventualmente trattamenti farmacologici se disponibili. I bisogni delle forme Yod sono molteplici perché essendo forme giovanili necessitano di attenzioni particolari (sono pazienti in età lavorativa, spesso con figli piccoli). Nelle forme in cui vengono rilevate mutazioni genetiche strumento di approccio fondamentale è il counselling genetico per paziente e famiglia. Si parla invece di di demenze a esordio tardivo dopo i 65 anni, ma l’allungamento della vita ha permesso di comprendere che anche in questo gruppo esiste una forte eterogeneità e che esistono forme negli oldest-old (over-80 anni) particolari, identificate solo da studi neuropatologici la cui clinica è molto complessa da estrapolare. Attualmente queste demenze contano circa 35,6 milioni di casi nel mondo. Nel 2030 è previsto il raddoppio e addirittura i dati sono triplicati per il 2050. Nessuna area del mondo ne è esente e il maggior trend di crescita si osserva nei Paesi più poveri. La malattia di Alzheimer è certamente la forma di demenza più prevalente.

Amalia Cecilia Bruni, Presidente Società Italiana di Neurologia per le Demenze

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Epatite Delta, un nuovo farmaco

Ho letto che esiste un trattamento per l’epatite Delta. Ma di che epatite si tratta?

L’epatite Delta si manifesta solo nelle persone affette da Epatite B. Si stima che nel mondo ci siano 10-20 milioni di soggetti coinvolti e che circa il 10% di coloro con epatite B abbiano anche la Delta, sebbene in tanti non ne siano consapevoli. L’epatite Delta è, tra le diverse epatiti, la più severa in quanto progredisce assai rapidamente, fino a 10 volte di più rispetto all’Epatite B. L’unico farmaco finora disponibile è stato l’interferone, pur con effetti collaterali e non utilizzabile in soggetti anziani e malati gravi. Il nuovo farmaco bulevirtide è unico per meccanismo d’azione e somministrazione. Rappresenta un progresso rivoluzionario perché permette di trattare anche senza interferone pazienti che prima non potevano ricevere alcuna terapia. Gli studi in monoterapia suggeriscono la possibilità di avere per adesso alla settimana 24 una riduzione di circa 2-2,5 logaritmi di viremia, con una risposta virologica nel 50% e una risposta biochimica nel 50% dei pazienti.

Pietro Lampertico, Professore ordinario di Gastroenterologia ed Epatologia dell’Università degli Studi di Milano

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Reflusso gastrico, come scongiurarlo

La dieta può influire sul reflusso gastrico?
Oltre il 20% degli italiani soffre di reflusso gastrico e tra le cause principali si annovera senza dubbio lo stile alimentare inadeguato. Una persona ogni giorno mangia in media almeno due-tre kg di cibo, ma molto spesso senza rendersene conto. Qualsiasi pietanza, solida, liquida, fredda, calda, cruda o cotta, con consistenza diversa finisce nello stomaco riempiendolo alla stregua di un secchio.

In sintesi, le scelte alimentari possono esasperare il tempo di permanenza degli alimenti nella cavità gastrica causando il reflusso gastro-esofageo. In questo disturbo spesso non c’è infatti un aumento dell’acidità gastrica, ma i dolori e il “bruciore” dopo il pasto esprimono esclusivamente il passaggio dei succhi gastrici nell’esofago, organo non strutturato per arginare gli effetti dell’acido gastrico. La chiave di volta è unicamente la scelta di una dieta appropriata, garante di tempi digestivi brevi e di principi attivi specifici favorenti la riparazione della mucosa esofagea.

Pietro Senette, Nutrizionista e ricercatore

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Il ruolo del medico nella riabilitazione

Qual è il compito del fisiatra?

Il fisiatra è un medico specializzato in Medicina fisica e riabilitazione. Dopo valutazione clinica e funzionale pone diagnosi,e nel caso di fallimento di approcci terapeutici farmacologici e chirurgici, pone un approccio che utilizza la medicina fisica e riabilitativa. Si parla di “recupero funzionale e delle autonomie” dove non è più solo la lesione d’organo che deve essere curata ma le sue conseguenze funzionali.

I campi di interesse sono: riabilitazione dell'apparato muscolo-scheletrico dopo artrosi, tendinosi e condropatie, patologie dismorfiche e paradismorfiche del rachide, patologie acute e traumatiche; neuroriabilitazione e cerebrolesioni, mielolesioni; riabilitazione cardiologica e respiratoria o del pavimento pelvico.

Il fisiatra si occupa inoltre di traumatologia dello sport e prevenzione degli infortuni ponendo diagnosi, prescrivendo farmaci o programmi di recupero; terapia antalgica e del dolore come trattamenti farmacologici, seminvasivi (infiltrazioni, ozonoterapia), non invasivi (terapia strumentale). Il fine dell’intervento del fisiatra è sempre quello di migliorare la qualità della vita laddove la disabilità risulta essere stabilizzata.

Paola Gillone, Medico fisiatra, Responsabile studio medico polispecialistico e riabilitativo Koinè Solution, Cagliari

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