Grandi manovre per l’imminente voto per il Quirinale, domani a partire dalle 15 alla Camera.

In mattinata si è tenuto il vertice del centrosinistra: nella sala Berlinguer della Camera si sono riuniti il presidente del M5s Giuseppe Conte con i capigruppo Mariolina Castellone e Davide Crippa, il segretario del Pd Enrico Letta con le capogruppo Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, e il leader di Leu Roberto Speranza con i capigruppo Federico Fornaro e Loredana De Petris.

Secondo fonti del Nazareno è "molto probabile" che il centrosinistra vada verso la scheda bianca alla prima votazione, la decisione sarà presa nel vertice di domani mattina. "Non abbiamo parlato di nomi", ha detto Conte uscendo, “neanche con Salvini”. Stando alle fonti però un nome è stato fatto, ed è quello dello storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e ministro senza portafoglio per la Cooperazione internazionale e l'integrazione nel Governo Monti: "Finalmente ci si può confrontare sui nomi. L'identikit è quello indicato ormai da settimane: profilo non di parte, autorevole. Incontri che dovrebbero preludere a un tavolo tra tutte le forze politiche. Si ragiona su Andrea Riccardi come profilo di presidente ideale". 

IL TIMING – Nel pomeriggio si riuniranno i grandi elettori di Leu e successivamente del Pd, nella saletta dei gruppi parlamentari alla Camera. E alle 21 si confronteranno via Zoom quelli del M5s. Lunedì mattina, alle 9, Matteo Renzi ha dato appuntamento a parlamentari e delegati regionali di Italia viva. Alle 13.15 si terrà invece a Montecitorio l'assemblea dei grandi elettori di FI-Udc. E alle 14 è in programma quella di Coraggio Italia. Un'ora più tardi è convocato il Parlamento in seduta comune, e dalle 15 prenderanno il via le operazioni per la prima votazione per il nuovo capo dello Stato.

IL PASSO INDIETRO – Ieri l’ufficialità del ritiro di Silvio Berlusconi: stanco e deluso, non andrà avanti nella corsa al Quirinale. Insufficienti i risultati dell’estenuante "operazione scoiattolo” di caccia al voto, all'ex Cavaliere non è rimasto altro da fare che rinunciare al sogno di salire sul Colle più alto di Roma.

Lo ha comunicato ai suoi alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni in un vertice via Zoom, rimanendo ad Arcore. O meglio, ha lasciato che lo facesse una nota letta dalla fidatissima Licia Ronzulli, senatrice di Forza Italia: "Ho deciso di compiere un altro passo sulla strada della responsabilità nazionale, chiedendo a quanti lo hanno proposto di rinunciare a indicare il mio nome per la presidenza della Repubblica".

L’ex premier, finora kingmaker di se stesso, non rinuncia però al tentativo di designare il successore di Sergio Mattarella. Che non deve essere Mario Draghi, ha detto indirettamente: "Considero necessario che il governo Draghi completi la sua opera fino alla fine della legislatura per dare attuazione al Pnrr". Nelle prossime ore, ha aggiunto, "faremo una proposta condivisa del centrodestra all'altezza in grado di avere il massimo consenso possibile".

LA PARTITA – Nonostante il no di Berlusconi, resta pienamente in campo la candidatura del presidente del Consiglio. Anche perché ogni nome alternativo rischia di far saltare il governo. 

Se la maggioranza si spaccherà sul nome del presidente (come potrebbe avvenire su Pier Ferdinando Casini, vista la contrarietà in partenza soprattutto del M5s), la caduta dell’esecutivo sarebbe praticamente automatica, ha avvertito per primo Draghi. Ma anche andare avanti come se nulla fosse, in un anno pre-elettorale, potrebbe reggere per qualche settimana o mese ma poi precipitare tutti verso elezioni anticipate.

Resta da capire come trovare il modo di far traslocare il premier senza terremoti. Il nodo resta il suo successore e la nuova formula: ogni leader chiede garanzie, la strada è quella di un esecutivo meno tecnico e a più forte impronta politica. Sarebbe stata sondata, per ora senza successo, la disponibilità di Casini a prendere la guida del governo. Così come continuerebbero a non convincere i nomi di Marta Cartabia (in forte ascesa nei rumor), Vittorio Colao o Daniele Franco (che non vorrebbe traslocare a Palazzo Chigi).

Le prossime ore, sottolinea un dirigente M5s, saranno decisive: non si può escludere la rottura, ma neanche un'intesa larga con il centrodestra probabilmente dalla quarta votazione quando basterà la maggioranza assoluta.

E l’opzione Mattarella bis? Non è ancora esclusa, ma solo a fronte di un impasse senza speranza di risoluzione.

(Unioneonline/D)

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