Sovranista o non più Sovranista? Questo sembra essere il dilemma attualissimo che si insinua nel governismo dai colori sbiaditi della giovane leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, odierna Presidente del Consiglio. Di certo, gli esiti sulla questione “migrazioni” per nulla rassicuranti di cui al Consiglio Europeo sono significativi quanto meno di due aspetti incontrovertibili: quello per cui non si può scegliere di essere sovranisti a correnti alternate sol perché dai banchi della opposizione si è passati agli scranni del governo, e quindi alla guida di un Paese che, pur costituendo una “porta” di accesso all’Unione, in tutta la sua interezza compositiva, sembrerebbe restare, come di fatto resta, imbrigliato in solitaria ai vincoli stringenti del Trattato di Dublino; e quello ulteriore, per cui il sistema delle alleanze sul piano comunitario sembrerebbe imporre, come nei fatti impone, criteri e meccanismi di medesimezza ideologica la cui conservazione a ben considerare, ed a ogni buon conto, richiedono una rigida coerenza contrattuale “compromissoria” che non pare ammettere defezioni e/o eccezioni.

O con noi o senza di noi: l’insegnamento offerto da Polonia e Ungheria non pare potersi prestare ad equivoci di sorta. Circostanza, quest’ultima, che rende peraltro ragione del perché, diversamente pure da quanto vorrebbe credere il segretario della Lega Matteo Salvini, allo stato non potrà mai esistere un centro-destra europeo capace di incidere sugli assetti e sulle politiche dell’euro-parlamento.

Il cosiddetto Patto UE sulla Migrazione resta un miraggio con buona pace di Giorgia Meloni, la quale, sebbene leader dei conservatori europei, non è riuscita a rinvenire il consenso dei propri colleghi conservatori, ossia del premier polacco, Mateusz Morawiecki, e di quello ungherese, Viktor Orban. Intendiamoci: attendersi un atteggiamento accomodante sul punto dei frugal four sarebbe stato un inutile quanto illusorio esercizio di ingenuità. Ma, parimenti, ritenere che si possa risolvere la questione strutturale delle migrazioni attraverso un impegno condiviso “sulla dimensione esterna”, come parrebbe essere convinta di fare il nostro Presidente del Consiglio, non solo pare essere semplicemente e puramente illusorio, ma addirittura assai aleatorio e fuorviante, per la semplice quanto dirimente circostanza che la gestione materiale degli arrivi richiede il controllo in via diretta e mai mediata dello Stato ricevente, il quale, in caso contrario, dovrebbe per così dire “accettare” la gestione autoreferenziale del flusso sulla base delle esigenze contingenti dello Stato Terzo qualificabile nei termini ristretti di “mittente”.

Non parrebbe esservi davvero chi non veda lo squilibrio (perlomeno tale sembrerebbe apparire) tra lo Stato “servente” (nel caso di specie l’Italia, potenziale interessato dai flussi regolati da terzi) e lo Stato “dominante” (ossia quello deputato al controllo delle partenze). Ma al di là di ogni riflessione sull’aspetto specifico del problema migratorio, sul quale lecito è dubitare che si riesca a rinvenire un accordo che non passi prima attraverso la riforma condivisa della normativa vigente, l’aspetto da tenere in considerazione per la comprensione della intera faccenda è quello di carattere squisitamente politico, per essere il medesimo l’unica e sola chiave di lettura delle imminenti alleanze europee in vista del prossimo e vicinissimo appuntamento elettorale.

Se è vero, come pare essere vero, che Giorgia Meloni, nella sua posizione attuale, si ritrova a dover compiere una scelta ideologica radicale che potrebbe costarle parecchio in termini di consenso, dovendo ella scegliere tra il permanere nella sua attuale collocazione europea come leader dei “Conservatori”, ovvero sperimentare la ipotesi moderata accreditandosi tra gli esponenti di spicco del PPE e quindi andando a ricoprire, o almeno sperando di poterlo fare, quello che fu, mutatis mutandis, il ruolo di Silvio Berlusconi. Circostanza questa ultima che di certo non può che scontrarsi con le aspirazioni, legittime o meno sarebbe da considerare, di Matteo Salvini, il quale, tutto considerato, potrebbe aspirare a collocarsi quale punto di equilibrio e di contatto tra conservatori e popolari.

Intanto perché sembrerebbe che Fratelli d’Italia stia attendendo il momento opportuno per giustificare, agli occhi dell’elettorato, la propria emancipazione rispetto a partner che, se utili quando sedeva sui banchi della opposizione, come appunto ungheresi e polacchi, ora cominciano a divenire assai scomodi non consentendo alla loro leader di accreditarsi a pieno in Europa.

Quindi, perché la vera ed unica svolta per Giorgia Meloni, sovranista ma forse non troppo, parrebbe essere quella di porsi come interlocutore liberale ed ideale per un’alleanza stabile tra il gruppo di Von der Leyen e i conservatori tutti “liberati” dalle falangi più estreme.

Infine, perché, tutto sommato, l’attuale favore in termini di consenso che sembra registrarsi in Europa per la destra potrebbe qualificarsi alla stregua di un fuoco di paglia soggetto a spegnersi sulla spinta delle esigenze di governo che inevitabilmente finiscono sempre per riportare il tutto ideologico ad una condizione di fattibilità e verosimiglianza. 

Se dunque i due paesi simil alleati della Giorgia Nazionale si sono opposti al patto sulla migrazione proposto dalla Commissione europea, che vorrebbe prevedere una maggiore solidarietà tra gli Stati membri e una gestione comune delle frontiere esterne, tuttavia, quel veto di Budapest e Varsavia, benché non abbia potuto impedire la approvazione sia pure solo formale del Patto, nei fatti si attesta nella sua dirimenza bloccando le aspettative del nostro Presidente del Consiglio, rientrata in Italia, tutto sommato, con un nulla di fatto difficile e scomodo da giustificare.

Lo stesso decantato Piano Mattei potrebbe finire per costituire uno specchietto per le allodole più che un autentico cambio di passo nella gestione dell’emergenza migratoria, siccome il solo pretendere di esercitare una vigile attenzione sui Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, “coniugando lotta ai trafficanti con politiche di sviluppo”, non solo richiederebbe la solidale compartecipazione di tutti i Paesi interessati dalle rotte di percorrenza migratoria, ma anche la loro solidità politica interna. Circostanza, questa ultima, assai aleatoria.

Dicendolo altrimenti: se la destra sovranista italiana ha vinto le elezioni del 25 settembre ed è riuscita a formare nel prosieguo un nuovo governo con alla guida il partito capofila della coalizione, ossia Fratelli d’Italia, che, al pari degli schieramenti della destra polacca, si è sempre contraddistinto per essere un partito cosiddetto euroscettico, ora, a distanza di circa dieci mesi da quell’appuntamento elettorale, Fratelli d’Italia, o meglio la sua leader, sembra aver “cambiato pelle”. Questa è la unica vera novità che potrebbe ben presto contribuire a mutare gli assetti sul piano nazionale ed europeo nei termini ristretti delle alleanze che verranno a concretizzarsi, senza nulla mutare, con buona verosimiglianza, sul piano della pianificazione politica attuale degli interventi in concreto. Cambiare tutto, come sempre, affinché tutto resti sempre come è? Il tempo lo dirà.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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