"Che fai, mi cacci?".

Sono passati otto anni da quando Gianfranco Fini formulò a Silvio Berlusconi la celebre domanda che segnò, di fatto, la crisi del Popolo della Libertà e l’inizio della fine della sua ultima vita politica.

Ultima, perché, di vite politiche, Fini ne ha avute fin troppe.

Da quel drammatico congresso le cose, per l’allora presidente della Camera, corsero veloci.

L’addio al Pdl, la fondazione, assieme a un manipolo di dissidenti, di Futuro e Libertà, e poi il caso della famigerata "Casa di Montecarlo".

Per molti, una sorta di "vendetta" del Cavaliere (lo scoop arrivò proprio dai suoi giornali) contro l’ex braccio destro che aveva osato mettere in dubbio, come mai nessuno prima, la leadership del Capo.

Quando chiese polemicamente "Che fai, mi cacci?" a Berlusconi (Ansa)
Quando chiese polemicamente "Che fai, mi cacci?" a Berlusconi (Ansa)
Quando chiese polemicamente "Che fai, mi cacci?" a Berlusconi (Ansa)

Per arrivare a scoprire "Che fine ha fatto Gianfranco Fini?" è necessario partire proprio da quella domanda. Anzi, dalla casa nel principato monegasco.

Quei 45 metri quadri che la contessa Anna Maria Colleoni aveva lasciato nel 1999 in eredità ad Alleanza Nazionale, assieme ad altri beni e a una gatta di nome Piumina, e che An avrebbe venduto a una società off-shore per 300mila euro.

Un’abitazione, piccola, ma di lusso, che sarebbe stata nelle disponibilità di Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Fini, Elisabetta.

La Procura di Roma aprì un’inchiesta che venne poi archiviata.

Ma l’armageddon era solo rimandato. Arrivò una nuova inchiesta: secondo i pm quella della "casa di Montecarlo" era parte di una serie di operazioni illecite per permettere al "re delle slot" Francesco Corallo di ingannare il Fisco, traendo profitto.

Fini tornò tra gli indagati, assieme allo stesso Corallo, alla compagna e al cognato.

E il 16 luglio scorso è arrivato il rinvio a giudizio.

L'edificio di Montecarlo, con la casa al centro delle inchieste (Ansa)
L'edificio di Montecarlo, con la casa al centro delle inchieste (Ansa)
L'edificio di Montecarlo, con la casa al centro delle inchieste (Ansa)

L’ultima vita politica di Gianfranco Fini, nel frattempo, era già terminata.

Caduto il governo Berlusconi III, la meteora Futuro e Libertà aveva fatto da stampella al Governo Monti.

Nel 2013, poi, si era ripresentata alle elezioni, in coalizione proprio con la montiana Scelta Civica.

Il risultato? 0,47 per cento. De profundis del partito, fine dell’ultima vita politica conosciuta di Fini.

Una conclusione che nemmeno nei peggiori film catastrofisti di Hollywood.

Curioso che anche l'inizio del suo cursus honorum sia in qualche modo legato al cinema.

La sua prima vita politica, infatti, iniziò proprio davanti a un cinema, nella rossissima Bologna fine anni Sessanta, dove Fini è nato, nel 1952, da padre ex volontario della Repubblica di Salò e madre figlia di uno dei primi attivisti del Movimento Sociale, che aveva marciato su Roma accanto a Italo Balbo.

Gianfranco era un ragazzo. Voleva andare al cinema a vedere "Berretti verdi" con John Wayne, film Usa che esaltava la guerra in Vietnam.

Davanti alla sala, però, trovò un gruppo di militanti di sinistra, che gli impedirono di entrare.

Indignato da tanta arroganza, il giovane Fini si iscrisse alla Giovane Italia. Ovvero: l’associazione dei baby simpatizzanti missini, che di lì a breve sarebbe diventata il Fronte della Gioventù.

Ma, ebbe a dire poi, all’epoca “non avevo opinioni politiche”. Insomma, nostalgico del Ventennio a sua insaputa. O, meglio, per colpa di John Wayne.

Un giovane Fini con Giorgio Almirante (Ansa)
Un giovane Fini con Giorgio Almirante (Ansa)
Un giovane Fini con Giorgio Almirante (Ansa)

E talmente tanto non gli interessava la politica che nel 1977 Giorgio Almirante in persona lo scelse per diventare segretario del Fronte, cui Gianfranco si era - ipse dixit - iscritto per caso.

Inizia così la sua seconda vita politica, che lo vede di lì a poco entrare per la prima volta in Parlamento, come deputato, nel 1983. Sempre con la benedizione di Almirante, contento di aver finalmente trovato tra tanti neri "neri" del suo "Mis" una sorta di mulatto, che, al contrario degli altri, "crede ai valori della Costituzione". Una mosca bianca.

Con la benedizione del grande padre della destra sociale italiana, che di lì a poco (1988) passerà a miglior vita, Fini prende le redini del partito, per poi lasciarlo - provvisoriamente - nelle mani del capo dei duri e puri missini, Pino Rauti.

Accanto a Pino Rauti (Ansa)
Accanto a Pino Rauti (Ansa)
Accanto a Pino Rauti (Ansa)

Comincia così la sua terza vita politica, durante la quale, molto umilmente, si dedica alla gavetta amministrativa, facendo il consigliere comunale, lui bolognese trapiantato a Roma, ad Aprilia, Brescia e Reggio Calabria (roba che al confronto Maria Elena Boschi, toscana trasmigrata in Alto Adige, è una pivella). Una vita (politica) da mediano, parafrasando Ligabue, che culmina con la candidatura a sindaco di Roma, in sfida con Francesco Rutelli, che la spunterà al ballottaggio.

Negli anni Novanta, accanto ad Alessandra Mussolini (Ansa)
Negli anni Novanta, accanto ad Alessandra Mussolini (Ansa)
Negli anni Novanta, accanto ad Alessandra Mussolini (Ansa)

Sconfitto, ma felice, Fini è già pronto per la sua quarta vita politica.

E anche in questo caso centra il cinema. Già, perché a far lievitare le quotazioni del mancato primo cittadino di Roma, tornato nel frattempo segretario del Msi, è Silvio Berlusconi in persona, appena sceso in campo. Uno che di cinema (e televisione) se ne intende.

È proprio lui a sdoganare Gianfranco, in un luogo, come ha avuto modo di notare molto argutamente Giorgio Dell’Arti, che richiama Hollywood e un personaggio (profezia?) a metà “tra spettacolo e tragedia”: Marylin Monroe.

Perché è proprio in via Marylin Monroe, a Casalecchio di Reno (Bologna), durante l’inaugurazione di un centro commerciale, che il Cavaliere tesse le lodi dell’astro nascente della destra, sdoganandolo una volta per tutti verso il governo.

Ci vorrà ancora qualche tempo. Quanto basta per fare definitiva ammenda del passato e gettare acqua sulla Fiamma (tricolore) missina.

Il luogo clou in questo caso è poco cinematografico e molto più diuretico: Fiuggi.

Qui il Movimento Sociale mette da parte (almeno ufficialmente) la nostalgia e si trasforma in Alleanza Nazionale. Fini, che definisce il fascismo “il male assoluto” (beccandosi più volte del “traditore” dai neri “neri” di cui sopra), è il leader della nuova destra.

Che nel 2001 va al governo assieme a Forza Italia.

Lo storico congresso di Fiuggi (Ansa)
Lo storico congresso di Fiuggi (Ansa)
Lo storico congresso di Fiuggi (Ansa)

Per Gianfranco è la quinta vita. Quella dei fasti. Vicepresidente del Consiglio, all’ombra dell’amico Silvio, ministro degli Esteri, uomo simbolo delle aspirazioni della destra di farsi moderna, anglosassone, scrollandosi di dosso il passato.

È in questi anni - nel 2006 - che firma due tra le leggi più contestate del Nuovo millennio. La Bossi-Fini che introduce il reato di clandestinità e la Fini-Giovanardi, che equipara droghe leggere a droghe pesanti. Due leggi che, col senno di poi, forse non avrebbe firmato.

Sarà infatti lo stesso Fini, di lì a poco, a spendere parole d’apertura nei confronti dell’accoglienza.

Ed è lo stesso Fini, proprio nel 2006, a rivelare, in diretta tv, pizzicato da Fabio Fazio, di aver fumato uno spinello, durante una vacanza in Giamaica, restando “rimbecillito per due giorni”. Ammettendo di fatto che, se una canna se l’è fatta persino uno dei delfini dell’integerrimo Giorgio Almirante, le droghe leggere non sono certo eroina.

Ospite di Fabio Fazio (Ansa)
Ospite di Fabio Fazio (Ansa)
Ospite di Fabio Fazio (Ansa)

Al Fini-hippy segue il Fini-femminista che apre alla fecondazione assistita e poi il Fini-arcobaleno che lascia spiragli per le unioni civili. I colonnelli di An storcono il naso, ma il generale è sulla cresta dell’onda. Dunque, almeno per il momento, va bene così.

Nel 2008 inizia la settima e ultima vita politica di Fini, quella da presidente della Camera del Berlusconi ter. Quella del Pdl, il partito del predellino fondato dal Cavaliere, con An costretta a confluire. Una vita di screzi, tensioni, rotture, culminate con il congresso di Roma e con il celebre “Che fai mi cacci?”.

Poi la nascita - e la subitanea morte - di Futuro e Libertà, spazzata via alle elezioni del 2013.

Sette vite. Come quelle dei gatti. Non i coraggiosi quattro che hanno avuto il fegato di votare Fli. I gatti “gatti”, come Piumina, la micia lasciata in eredità ad An dalla contessa Colleoni, assieme alla casa di Montecarlo.

Con Berlusconi e Bossi (Ansa)
Con Berlusconi e Bossi (Ansa)
Con Berlusconi e Bossi (Ansa)

E siamo arrivati ai giorni nostri. Che fine ha fatto, dunque, Gianfranco Fini?

Cercando su Google, sezione Notizie, uno dei risultati più recenti (settembre) lo dà avvistato a Roma, con il viso abbronzato, anzi “abbrustolito” dalle “molte vacanze”.

Pronto, chissà, per l’inizio della sua nuova vita. L’ottava. Poco politica e molto giudiziaria.

Il 30 novembre, infatti, comincerà il processo che lo vede imputato.

Comunque vada a finire, Fini può consolarsi.

A differenza che in Italia, nel mondo anglosassone, dove la destra liberale da lui vagheggiata esiste davvero e di cui faceva parte anche la trasgressiva Giamaica, i gatti, di vite, ne hanno ben nove.

Luigi Barnaba Frigoli

(Unioneonline)
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