Mentre Minsk approfitta dei migranti al confine con la Polonia solo per esercitare una pressione schiacciante sull’Europa, e mentre la Nato, impegnata a sopravvivere a se stessa, si limita a lanciare molteplici segnali di allarme, l’Unione, ancora una volta, resta immobile, travolta dalla propria incapacità funzionale e strutturale, e per ciò stesso incapace di rispondere ai contraccolpi del regime di Lukashenko.

Insomma: a volerla dire tutta, dobbiamo ammettere, nostro malgrado, che è proprio la crisi migratoria ai confini orientali a mettere a nudo la ipocrisia bi-fronte delle politiche europee, e l’unica e sola costante ricorrente pare essere l’indifferenza per le vite dei migranti. In buona sostanza, l’emersione, nell’Europa dell’Est, di un fronte politico espressione di un modello di “democrazia illiberale” del tutto idoneo a mettere in discussione quelli che erano, e sarebbero dovuti restare, i valori fondanti della costruzione europea, e, nel contempo, la questione spinosa dei rapporti con i Paesi direttamente affacciantisi sui controversi confini europei, il cui processo di transizione democratica, parrebbe aver subito, un po’ per scelta, un po’ per le circostanze, una ingloriosa battuta d’arresto, costituiscono la spia di allarme sul cui nucleo concettuale parrebbero trovare ingresso e dimora due tra i più importanti interrogativi di rilievo ideologico-pratico: quale mai potrà essere il ruolo dell’“Unione Europea dei nazionalismi” in un contesto globalizzato multietnico? Ovvero: su quali dinamiche politiche sopravvivono, e si agitano, le molteplici anime che sostengono l’azione degli Stati Membri maggiormente indipendentisti, e assai poco inclini a sottomettersi a sempre più intense cessioni di sovranità? Il “soft power”, quale strumento di “persuasione gentile”, non è servito a garantire la diffusione di quello che avrebbe dovuto essere un “modello europeo” di “organizzazione istituzionale” interna ed esterna ai singoli Membri, anche, e soprattutto, nelle aree maggiormente instabili di recente acquisizione.

L’“Unione della Comunione degli Intenti” e della integrazione espansionistica verso il mondo dell’est, ha ceduto il passo all’“Unione delle Divisioni”, evidenziando la fallacia ontologica del grande postulato comunitario, ossia quello per cui la comune appartenenza al complesso unionale avrebbe potuto contribuire ad “uniformare” i vari paesi aderenti non solo sul piano economico, ma anche sul piano politico attraverso l’elaborazione di forme sempre più evolute di “democrazia liberale”. Ma allora, in un contesto siffatto, ove, di fatto, le decisioni qualificanti l’azione dei vari Membri sono assunte in seno al Consiglio Europeo, quale consesso di espressione delle “democrazie illiberali” d’Europa, quale può ancora essere oggi, il valore e la forza cogente, di procedure, quale quella dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, che espressamente disciplina l’intervento sanzionatorio in danno di uno Stato Membro che si sia fatto lecito, o si faccia lecito, di contravvenire ai “valori fondamentali” dell’Unione Europea? Possono ancora esistere forme de-formi di “democrazia alternativa”? Ogni risposta è direttamente conseguente, soprattutto allorquando si decida di inquadrarla su una amara riflessione di fatto in merito agli obiettivi, o più correttamente, agli “interna mentis”, dei cosiddetti europeisti di circostanza, dei “parvenu” nel contesto del modello democratico di riferimento i quali, più che incidere sullo sgretolamento del complesso unionale, divenuto per i medesimi fonte primaria di reddito, vorrebbero invece rifondarlo su presupposti “altri” rispetto a quelli che finora hanno sostenuto il difficile, ed evidentemente fallimentare, processo di integrazione.

Se tale, dunque, appare essere lo stato dell’arte, o meglio, dell’assetto politico-istituzionale sopranazionale, quale interesse può ancora giustificare la permanenza dei paesi per così dire “canaglia” (volendo impiegare una terminologia impropria sul piano giuridico internazionalistico, ma idonea a rendere il concetto) all’interno dei confini europei quando, la loro stessa permanenza, è ben idonea ad incidere sul clima generalizzato di sfiducia verso ogni forma di istituzione democratica? Quale futuro ci attende in un contesto ove la “democrazia” appare incatenata ad un rapporto rigido con il territorio, inteso quale confine materializzato del contesto “minor” statale, e quale confine apparente dell’involuzione sociologica che sembra prediligere l’interesse personalistico delle singole organizzazioni attraverso la creazione di micro-sistemi tendenti ad escludere le istanze multi-lateralistiche che dovrebbero dominare il piano sopranazionale dei rapporti tra stati aderenti? Perché dovremo continuare a confidare su una Organizzazione, quale quella Europea, che benchè sospinta dall’esigenza di fondare una comunione delle complessità, ha invece contribuito, per converso, a sottolineare le diseguaglianze sociali ed il senso di comune precarietà? Questa Unione Europea può ancora limitarsi a “funzionare”, oppure può davvero intraprendere un percorso di progressiva “trasformazione”? Nonostante tutto credo di si. Soprattutto allorquando i singoli Membri vogliano riconoscere una volta per tutte che la rifondazione del modello democratico europeo non può prescindere dall’attivismo popolare e, di conseguenza, dall’affermazione di un modello democratico deliberativo contrapposto a quello rappresentativo attuale, nel contesto del quale la cosiddetta “deliberazione popolare” possa divenire il presupposto fondante della decisione politica: senza trucco e senza inganno non solo si compirebbe quell’ideale di partecipazione diretta del Popolo al governo del territorio nazionale e sopra-nazionale che costituisce la più grande lacuna della politica contemporanea, ma si realizzerebbero pienamente i presupposti utili a garantire quel processo consensualistico di riforma sociale capace di rifuggire da ogni compromesso contrario all’espressione della libertà degli individui nel loro momento partecipativo alla vita delle istituzioni.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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