“Togliere ai ricchi per dare ai poveri”. Alcune frange della maggioranza “arcobaleno” sembrano essersi impegnate a fondo, negli ultimi giorni, per favorire le “grandi manovre” di quanti vorrebbero vedere implodere l’esperienza del Governo “di Unità Nazionale” di Mario Draghi. Al proposito, ha suscitato non poco scalpore, e financo sdegno, infatti, la proposta provocatoria “salva-giovani” per l’equità e per la giustizia sociale di Enrico Letta il quale, da ultimo, in differenti contesti e circostanze, si è detto animato dalla volontà di “creare una dote per i diciottenni aumentando la tassa di successione sui patrimoni” oltre i cinque milioni di euro.

Si tratterebbe, in buona sostanza, e stando alle notizie riportate dalla cronaca, di portare dal quattro al venti per cento l’aliquota massima di tassazione per le eredità e per le donazioni tra genitori e figli superiori, per l’appunto, al tetto massimo di cinque milioni di euro. L’intera operazione coinvolgerebbe, verosimilmente, appena l’un per cento dell’intera popolazione italiana e avrebbe il merito di consentire il recupero di circa due virgola otto miliardi. “Redistribuire” attraverso una “tassa di scopo” priva di “fine” idoneo a giustificarla, quindi, non solo per difendere e, laddove è possibile, estendere la democrazia facendo leva sul principio di solidarietà, ma anche, sembrerebbe, per gettare le fondamenta di un nuovo ed “inedito” (forse) modello di sviluppo: il cosiddetto “Modello Italia”. Concetto vago, e per molti aspetti, sicuramente evanescente, indefinito, eppure ideologicamente esistente siccome astrattamente concepito su una consapevolezza appena timidamente accennata.  Quella per cui un partito di sinistra, o meglio, il Partito di Sinistra per eccellenza, non possa più offrirsi al giudizio delle masse per essere solo e banalmente “governista” subordinando al “governismo” medesimo fine a se stesso la propria identità ed il proprio progetto ancora “in fieri” siccome ancora in via di ideazione e di definizione. Tralasciando ogni considerazione sulla opportunità e sul tempismo di una iniziativa dal sapore retrò che ha l’evidente solo demerito di sottolineare la grave difficoltà organizzativa di un Segretario che tutto sommato sembra difettare, nonostante tutto, del carisma necessario a sostenere il compito affidatogli, mi domando, tuttavia, se la mera “ri-proposizione” di argomenti vecchi, quasi ammuffiti e stantii per fungere da solidi pilastri di rinnovate “costruzioni” dottrinarie identitarie, possa davvero configurarsi come la strada maestra per tradurre in consapevolezza stabile e condivisa l’esigenza di una nuova “idea” di sinistra che voglia definirsi veramente tale e che voglia sentirsi disposta ad abbandonare la propria attuale configurazione settoriale e correntista siccome apaticamente adagiata, sotto diversi punti di vista, su posizioni non solo anacronistiche, ma anche troppo lontane dal pensiero socialdemocratico che avrebbe dovuto porsi come imperante non solo nell’attualità, ma anche e soprattutto, nel lungo corso della sua esistenza partitica.

Ebbene. Se l’obiettivo perseguendo da Enrico Letta fosse quello di operare una rigorosa scelta di campo in qualunque modo idonea a restringere, ridisegnandoli, i confini del perimetro di ri-fondazione della sinistra italiana, anche al di là e a prescindere dagli umori contrastanti del suo stesso Partito Democratico, allora sarebbe fin troppo semplice obiettare che il progetto necessiterebbe di una narrazione dialettica assai più ampia ed articolata e meno banale della logica delle “paghette” di circostanza, utili solamente a recuperare una certa percentuale di consenso elettorale in vista delle prossime “amministrative”. Se, parimenti, l’obiettivo perseguendo da Enrico Letta fosse, per converso, unicamente quello di provocare una destabilizzazione atrofica del già difficile equilibrio di governo attraverso il tentativo del perseguimento di politiche fallaci ed illusorie di cosiddetta “solidarietà nazionale”, ideologicamente finalizzate al superamento del momento di emergenza contingente fortemente caratterizzato dall’accrescersi delle disuguaglianze di classe, allora quello stesso obiettivo sarebbe comunque destinato a fallire siccome incapace di oltrepassare il limite di una persistente ed ostinata “discriminazione alla rovescia” in pregiudizio dei “ricchi” destinata a restare incagliata tra le maglie strettissime dell’ideologia spicciola estemporanea. Sarebbe utile, piuttosto, nella logica di ri-fondare la sinistra italiana, riscoprire l’essenza vera del “socialismo” cosiddetto “ideale” che dovrebbe esprimersi nel rapporto indissolubile tra il senso di giustizia sociale applicato al concetto di uguaglianza formale e sostanziale di tutti gli uomini all’interno di una comunità politicamente organizzata, ed il rifiuto incondizionato e severo di una gestione opaca del potere che ha finora impedito alle formazioni riformiste di operare ed incidere nella direzione dell’implementazione dei diritti individuali e collettivi quali vivide espressioni di una società contemporanea equa ed economicamente “solidale”.

In altre parole, e volendo condensare ad essenza un ragionamento che potrebbe condurci lontano per le sue innumerevoli articolazioni ideologiche, ritengo sia possibile individuare, tra le tantissime riflessioni speculative spendibili, quanto meno due punti fermi: sbaglia di grosso il buon Enrico Letta nel ritenere di poter ri-fondare la sinistra, o meglio, il Partito Democratico, attraverso la solita retorica della demonizzazione della ricchezza espressa, a sua volta, mediante la generosa, quanto immeritata, distribuzione delle “mancette” della cosiddetta “dote dei diciottenni”, senza passare attraverso una rigorosa analisi strutturale, e non solamente congiunturale, della società italiana contemporanea; sbaglia ulteriormente, il “sereno” Enrico Letta (che, a questo punto, non dovrebbe poi starsene troppo tranquillo), nel ritenere di poter gettare le basi del rinnovamento, qualunque siano le forme identificative dell’iniziativa intraprendenda, limitandosi a giustificare la sua propria prossima candidatura alla guida del Paese con la sola indicazione di una storica “pregiudiziale” di stampo ideologico contro la “Destra” dei ricchi e potenti, quasi che la contrapposizione muscolare al leader padano Matteo Salvini, anch’esso in evidente difficoltà sul piano identitario partitico, e per ciò stesso portato allo “scontro” siccome parte di un Governo di stampo socialista che lo delegittima agli occhi del suo elettorato di riferimento e dal quale farebbe meglio, probabilmente, ad uscire, possa ritenersi bastevole a soddisfare le richieste di un elettorato radicalmente “rosso” piuttosto esigente e certamente ancora ampio ma stanco di subire i contraccolpi governativi del vuoto ideologico del proprio partito di riferimento che sembra considerare la ricchezza come il solo nemico da sopraffare attraverso il miraggio del “prelievo forzoso” (perché tale sembra essere il sapore della misura) e di una tassazione solo in apparenza “costituzionalmente” progressiva, ma orientata invece in senso punitivo. Peraltro, è appena il caso di sottolineare, come l’esigenza del Segretario del Partito Democratico di definire i presupposti fondanti del nuovo modello sociale attraverso il livellamento economico al ribasso, sia in realtà la manifestazione più evidente dell’incapacità di sviluppare la dialettica motivata ed il confronto tra tutte le forze politiche della democrazia cosiddetta plurale e pluralista italiana incarnata, per volere del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dall’attuale formazione di governo.

E siffatta circostanza è tutt’altro che casuale siccome indicativa dell’incapacità della classe politica contemporanea di andare oltre ogni tentazione conservatrice quale placebo necessario a far fronte alle incognite delle prossime sfide governative post “unitarie”. Sfide alle quali, evidentemente, il Partito Democratico di Enrico Letta, che vorrebbe “ripartire” gettando le fondamenta del nuovo “Tempio” sull’ideologia del pregiudizio totalitario verso i “ricchi”, non sembra essere affatto preparato malgrado l’incontestabile suo valore sul piano ideologico e tattico.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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