Stretto tra i problemi ambientali e i ricatti occupazionali, il nuovo giovane presidente del Sulcis, Mauro Usai, si è aggiunto all’eroico sindaco di Portoscuso, il dottor Ignazio Atzori, nel porre in termini chiari la questione del senso ultimo dell’unica presenza produttiva di quella ex-zona industriale che è l’attuale Portovesme. Certo, c’è la continuità della fabbrica di armi di Domusnovas, in ampliamento con l’arrivo degli israeliani, ma quella partecipa dell’altra questione, quella delle servitù militari, che merita un approfondimento specifico. L’alluminio dell’Eurallumina e dell’Alluminio-Italia (nata come Alsar, alluminio-sardo) è fermo, sparito nelle interlocuzioni delle proprietà straniere con i nostri sindacati, non molto tempo dopo avere mutato in inglese i nomi che gli avevano dato l’Efim con le Partecipazioni Statali, negli anni Settanta.

Privatizzare e internazionalizzare, divenne poi la parola d’ordine: eravamo alla metà degli Ottanta dello scorso secolo e siamo ancora lì. Ma il senso vero della loro esistenza in Sardegna come promotrici di sviluppo, occupazione e reddito, era andata estinguendosi con le chiusure della Comsal (produceva laminati fini), della Sardal ad Iglesias (estrusi) e della prospettiva dei motori marini verso la quale spostare la produzione impiantistica della Metallotecnica Sarda. Già nel loro sorgere le grandi industrie del primario – metallurgia, petrolchimica e fibre – venivano considerate “servitù industriali”, se non fossero stati accompagnati dalle discese a valle: cioè, se, almeno una parte significativa del prodotto primario non fosse stata lavorata in loco. In realtà, quelle due, ottenute con continue pressioni del movimento sindacale sardo, restarono tali.

L’esperienza sul ruolo servile dell’insediamento di grandi imprese senza contorno verticalizzante, unificava le Giunte regionali, la classe politica, il sindacato e le popolazioni, del Sulcis e non solo. Solamente a San Gavino si verticalizzava parte del prodotto primario, ma quella fonderia era lì da molto tempo (dall’economica autarchica fascista). È con San Gavino che l’Eni, incaricata di risolvere la crisi del minerario metallurgico, insieme alla petrolchimica (che poi, invece, accompagnò alla chiusura), cercò di fare affari non appena ebbe in mano la fabbrica. Ma il sindacato metalmeccanico, con i suoi lavoratori, glielo impedirono attraverso lotte durissime.

Nel trascorrere dei decenni, chiusura dopo chiusura, arriviamo ai tempi recenti. Ci troviamo, così, con la Portovesme srl che vuole confermarsi quale immondezzaio dell’industria europea, incamerando nei cunicoli delle miniere dismesse (di oro, argento, piombo e zinco) i fumi di acciaieria, chiudendo definitivamente i reparti del piombo e dello zinco ed indirizzandosi al riciclo dei pannelli di litio.

In pratica, l’unica azienda attiva di Portovesme servirebbe a chiudere il processo di intervento energetico dello Stato in Sardegna: dal vento e dal sole arriva l’energia, questa viene convogliata nella rete, invasiva di condotte lungo l’intera Isola, verso la Tyrrenian Link di Selargius, con Portovesme che sperimenta, prima in Europa, cosa succede a rimacinare e fondere il litio delle immense tanche di pannelli solari. L’operazione litio è, infatti, identica e complementare a quella dell’invasione dei pannelli solari e dell’impossibile riqualificazione delle pale eoliche.

Per offrire un nuovo senso e interesse per l’economia sarda e l’occupazione, a partire dalle urgenze di Portovesme, ci vorrebbe una nuova politica industriale dello Stato italiano, che faccia il punto sui guasti della globalizzazione (lo stesso problema esiste a Taranto con l’acciaieria), offrisse una nuova direzione all’industria nazionale coordinandosi con l’Europa, e prevedesse una Sardegna che tanto ancora avrebbe da dare in termini di diversificazione industriale, visto che, dall’Unità d’Italia, è stata costantemente la regione più industrializzata del Mezzogiorno.

Ma già, dal Ministero dell’Ambiente, ti anticipano la risposta: la transizione energetica non deve vedere la Sardegna quale massima protagonista? Non vi stiamo offrendo un futuro industriale, lungo anche le colline e i monti, insieme ai neri prati delle poche pianure? Più chiaro di così! A noi rivoltare la risposta. Se si ritiene la cosa intollerabile, si sia chiari nella definizione della linea e decisi ad andare fino in fondo nel contrastare il loro progetto. Lavoratori e popolo, uniti.

Salvatore Cubeddu

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