L a lingua italiana è sempre più inquinata dalle parole inglesi. Questo dato di fatto è irreversibile e conviene farsene una ragione. Stupisce, invece, quando l’imbastardimento di un termine inglese prende il sopravvento su un verbo della lingua italiana, sostituendone il significato. Prendiamo ad esempio la voce del verbo “scrollare”. Per i più giovani non significa più né muovere, né agitare, né scuotere energicamente qualcosa.

B ensì far scorrere con il dito, sullo schermo dello smartphone, i contenuti multimediali proposti dai vari social network. Dal verbo inglese “scroll”, appunto: la cui italianizzazione ha portato alla nascita del un nuovo verbo meticcio “scrollare”. Così come un tempo, in preda alla noia, si faceva “zapping” fra i canali del televisore finendo per guardare superficialmente tutto, ma approfonditamente niente, oggi le nuove generazioni riempiono ore e ore della giornata a visionare un’esorbitante quantità di contenuti potenzialmente immensa, che fraziona la loro attenzione in migliaia e migliaia di micro-fruizioni destinate a lasciare, in apparenza, un bulimico senso di pienezza: ma, in realtà, il vuoto incolmabile di chi si è illuso di aver visto tutto, ma si rende poi conto di non aver analizzato, né compreso a fondo, quasi niente.

Il tempo vuoto, quello che i latini chiamavano “otium”, non esiste più. Ogni istante deve essere riempito a tutti i costi. E non importa che il tempo vuoto sia, in realtà, preziosissimo perché capace di stimolare la riflessione, l’approfondimento e l’analisi del mondo stimolando miglioramento e creatività. Oggi si preferisce riempirlo di qualunque cosa, pur di sfuggire alla noia: ma soprattutto a se stessi. E siccome la realtà è sempre superiore all’immaginazione, io, ora, prenderò in mano il mio smartphone: aprirò l’applicazione di Instagram, comincerò a “scrollare” e condividerò con voi i contenuti che, nei prossimi sessanta secondi, mi verranno proposti dall’algoritmo del social network: creato per compiacere le mie preferenze e farmi vedere soprattutto ciò che può risultarmi appetibile. Faccio partire adesso il cronometro. Ecco cosa vedo: c’è un ragazzo che si fotografa davanti allo specchio del bagno di casa sua prima e dopo aver perso 35 chili, c’è la pubblicità di una crociera sul Nilo “giro in mongolfiera incluso” a partire da 350€, segue il video di un gabbiano che sfreccia a pochi centimetri dal volto di una ragazza in barca e poi un cavallino nano che trotterella sul parquet di una casa elegante.

Seguono, nell’ordine: un ragazzo con i capelli lunghi e l’orecchino al naso che mi dice “io non posso farti felice, ma posso impegnarmi a supportarti nella creazione della tua felicità”, un lago sperduto in cima a una montagna colorata dalle mille tonalità dell’autunno, Silvio Berlusconi il quale, indicando un quadro che lo ritrae da giovane, dice “vedete come ero bello a diciotto anni?”. E ancora: un poeta che recita una poesia di Ungaretti, un ragazzo che tiene in braccio un maialetto e gli offre pezzetti d’anguria, un mental coach che pretende di insegnarmi in 10 secondi come prendere una decisione importante, una ragazza che gratta la schiena a un cucciolo di leopardo e un insegnante di yoga che dimostra come eseguire correttamente la posizione della farfalla.

Ecco. I due minuti sono finiti. Non resta che scrollarmi di dosso questo finto “tutto” che mi è stato propinato per rendermi conto che, in realtà, non ho visto niente di interessante. Non sono a dieta, ho terrore delle mongolfie re, detesto i guru dell’ovvio, la poesia era recitata male e l’idea di imboccare un maiale mi rivolta.

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