L ’avvocato cagliaritano Carlo Fancello, che ha gli anni giusti per aver visto Riva in campo, è un tifoso del Cagliari di quelli rari. Dà tutto, ama senza riserve, sa anche essere critico e ha perfino giocato a calcio abbastanza bene. Nella straordinaria diretta che Videolina e Radiolina producono dopo le partite del Cagliari, con la voce della gente che esce dallo stadio e quella di chi tifa il Cagliari ma è veneto e vive a Belluno, Fancello interviene quasi sempre. E sabato notte ha ammesso: «Mai visto un’entusiasmo così, Ranieri ha riportato la passione allo stadio».

La partita col Venezia era un trappolone come pochi, lo abbiamo capito nella seconda parte, quando il pallone ce l’avevano gli ospiti e il Cagliari aveva in testa solo il passaggio del turno. Ma intorno a quei ventidue, stremati da una stagione interminabile, c’era uno stadio bollente, con le famiglie, i bambini, il serioso professionista che va alla Domus con la maglietta d’ordinanza, una comunità colorata che comincia a pensare che i miracoli – perché di questo stiamo parlando – possano accadere ancora.

Intanto, un dato. Il Cagliari vince da cinque partite consecutive. Significa che nel passaggio più delicato del campionato, lo staff tecnico ha portato questo gruppo a vivere una condizione straordinaria. E se il calcio è anche testa, non solo benzina, il Cagliari ha modificato il suo dna traballante (in autunno era al 14° posto) in una miscela chimica potente, quasi imbattibile a questo livello.

Con un dettaglio, e qui l’allenatore diventa un fattore decisivo: giocano tutti, in questo Cagliari, anche quelli dimenticati dal Signore, soprattutto vanno in campo quando conta. Nessuno di noi avrebbe scommesso due euro su Luvumbo in campo e Azzi a sedere, per esempio, nella sfida dentro-fuori col Venezia, ma il vecchio testaccino ti ha dimostrato che se a 71 anni è ancora lì, a bordo campo, in diretta tv, qualcosa vorrà pur significare.

Quando è arrivato a Cagliari, poco dopo il Santo Natale del 2022, aveva chiesto di essere lasciato in pace, così dice la storia. Nessun tutore, dirigenti vari, voleva immergersi in uno scenario difficile, sbagliando, se necessario, con la sua testa. E i numeri, fatti compresi, gli stanno dando ragione.

E poi c’è un calciatore che sta vivendo una stagione da raccontare ai nipoti. Lapadula, peruviano di Torino, nasce nella Juve e poi indossa sedici maglie, una dopo l’altra, dal Milan al Benevento, e dovunque – bene o male – ha segnato, si è sbattuto, ha mostrato la faccia, i tatuaggi e quella sua clamorosa voglia di stare al centro dell’attenzione. Il lavoro non è ancora finito, però, perché domani sera ci sarà un’altra serata dove servirà – ancora, di più – tutta l’artiglieria: Lapadula, Ranieri, la gente, le mani del portiere, i muscoli di Nandez, lo stesso cappellino, gli stessi amici. Nessuno si senta escluso. La passione allo stadio.

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