S anremo 2023 è finito ma il festival non va in archivio, complici le roventi polemiche che continuano a divampare. Niente di nuovo, in verità, dato che ormai da decenni la rassegna della canzone italiana si è trasformata in una kermesse nazionalpopolare, impossibile da ignorare anche per chi dice di snobbarla, un perfetto “bignamino” per comprendere le virtù e i difetti (tanti) degli italiani.

Questa volta all’Ariston si è però avuta la pretesa di celebrare la libertà d’espressione e la difesa dei diritti, parole d’ordine purtroppo coniugate in siparietti d’una banalità sconcertante. Tutti, a modo loro, si sono sentiti liberi, ma solo un po’, senza esagerare, perché in fondo la vera trasgressione presume anche il rischio dell’emarginazione. Tutti dunque ipocritamente intenti a professarsi paladini della libertà, chi rinchiuso in una autoreferenziale bolla social, chi davvero convinto di rappresentare politicamente il Paese, chi (i più) furbescamente consapevoli che un po’ di scandalo serve a incrementare pubblicità e fatturato.

Ecco allora Chiara Ferragni libera di propinarci discorsetti narcisisti infarciti con frasi da Bacio Perugina. Libera Paola Egonu di tacciare di razzismo tutti gli italiani. Libero Blanco di sfasciare il palco dell’Ariston incurante della fresca “benedizione” di Mattarella (che, per fortuna, se n’era già andato). Libera Madame di piangere fra le braccia di Amadeus e fingersi vittima dopo aver finto d’essersi vaccinata, reato per il quale la novella Sandie Shaw è indagata.

L ibero Fedez di stracciare la vecchia foto di un viceministro “meloniano” vestito da gerarca nazista. Liberi i maggiorenti di Fratelli d’Italia di minacciare ritorsioni e promettere l’assalto alle poltrone Rai. Libero Amadeus di sentirsi sotto tiro e, anziché rivendicare semplicemente trent’anni di onoratissima carriera, dire che non rinuncerà alle proprie idee (quali?). Liberi alcuni esponenti Pd di gridare che la democrazia è minacciata. Libero Fiorello (e ci mancherebbe!) di ironizzare e annunciare al direttore Rai Coletta di iniziare a preparare gli scatoloni. Libero lo stesso Coletta di denunciare d’essere attaccato a causa dei suoi orientamenti sessuali.

Ora, se fossimo in un Paese serio dovremmo chiederci cosa c’entri davvero tutto ciò con la libertà. Ma siccome è sempre valido l’aforisma di Ennio Flaiano (“In Italia la situazione politica è molto grave ma purtuttavia non è seria”), ci limitiamo a ribadire la bontà di una riflessione fatta alcuni giorni fa, su L’Unione Sarda, da un intellettuale come Alberto Mingardi: «Stiamo cominciando a sperimentare cosa significa un’opinione pubblica i cui reggitori si sono formati scambiandosi messaggi di duecentocinquanta caratteri oppure rispondendosi a colpi di meme. Dal Covid alla guerra alle questioni di genere, la regola è issare la bandiera della tolleranza per ostracizzare come intollerante chiunque non suoni il nostro stesso spartito. Infelice la società che confonde libertà e censura».

Già, la libertà e la censura. Alla fine l’unico ad esser censurato, dopo giorni di stucchevole querelle, è stato il presidente ucraino Zelensky. Doveva inviare un videomessaggio sulla guerra, è stato letto un suo breve scritto a notte fonda quando la maggioranza degli italiani era già fra le braccia di Morfeo. Perché? Perché chi combatte veramente per il suo popolo, massacrato dall’invasore russo, può dar fastidio. Può indurci a fare riflessioni scomode. Ed ecco che il giorno dopo Berlusconi dichiara che lui Zelensky non l’avrebbe mai ricevuto perché ha attaccato il Donbass (la realtà rovesciata) e farebbe meglio ad arrendersi. Vauro subito interviene: «Non so perché Berlusconi l’abbia detto ma è la verità, lo bacerei in bocca».

Perfetto, giusto nel giorno di San Valentino. Dopo la “slinguazzata” fra Rosa Chemical e Fedez, ecco gli amorosi sensi tra il vignettista più filo-putiniano d’Italia e il suo ex nemico, il Cavaliere.

Ora sì che il sipario può definitivamente calare sul festival. Forse è meglio.

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