Tempo di urne e turbolenze
D ifficile capire il mondo, è come puntare i piedi per non essere travolti da una slavina. E quando le riflessioni riguardano il nostro intorno, la Sardegna della quale dovremmo almeno conoscere i codici, allora lo smarrimento aumenta: stiamo procedendo verso quale direzione, stiamo perseguendo quale fine? L’unica risposta che abbia oggi un senso e che trovi quotidiane conferme è che in Sardegna siamo in corsa verso le elezioni regionali – questa è l’unica realtà chiara, tutto il resto è evanescenza.
Leggiamo con attenzione quanto avviene e quanto viene detto: si tratta di uno stringersi a coorte per i problemi ormai devastanti della sanità, della scuola, dello spopolamento, della mancanza di economia e lavoro? No, non esageriamo: stiamo solo rinsaldando le appartenenze, tutto qui.
E la parola d’ordine corrente è in fondo quella del film “Oppenheimer”, scambiata per morale: scegliamo il male minore, convinciamoci, quello che “noi” giudichiamo minore, insindacabilmente, si tratti di buttare un paio di bombe atomiche sulla popolazione civile (ma Bonifacio VIII non aveva fatto lo stesso con la città di Palestrina fedele ai Colonna, sulla quale, dopo la distruzione, aveva fatto passare l’aratro e spargere il sale?) oppure di scegliere uno schieramento imbottito di nomi buoni per tutte le circostanze, come spesso è avvenuto ormai da tempo a prescindere dal colore degli schieramenti.
È la politica (qualcuno dice che è la democrazia, senza specificare che è la peculiare forma italiana tra dozzine di democrazie diverse), dobbiamo prenderne atto: si svolgerà nei prossimi sei mesi una lotta per la sopravvivenza politico-economica di due poli che non si rispettano e non si legittimano, e assisteremo ancora a una stanca ripetizione di film già visti decine di volte, della quale è facile prevedere la cronaca.
Eppure nell’aria c’è qualcosa di nuovo e pericoloso che non parte da noi – la nostra personalità arriva giusto a cavalcare i trend – ma si diffonde nel mondo avvertita da menti sensibili e studiosi preparati: si tratta della deriva di progressiva radicalizzazione (che peraltro trova noi ben ricettivi e vogliosi). Peter Turchin, lo storico americano che in tempi non sospetti aveva ipotizzato un picco di instabilità economica, sociale e politica nell’intorno del 2020, torna in questi giorni a parlare attraverso il suo ultimo libro intitolato, traduco: “Tempi di fine corsa, élite, contro-élite, e il percorso della disintegrazione politica”.
Sì, lo so che a noi degli storici americani importa poco o nulla, ma sto attraversando un periodo di rifiuto dei talk-show, perdonatemi, per cui mi rifugio nella lettura. Turchin dice insomma che dai suoi studi (oltreoceano si usano i supercomputer e ormai diffusamente l’Intelligenza Artificiale) siamo di fronte a un’imminente rivoluzione, o meglio a turbolenze sociali e a una frammentazione violenta dell’attuale impianto politico. La presenza di una “sovraproduzione di gruppi di potere” che agiscono per i propri interessi a un livello più alto di quello democratico, con il desiderio e la prassi di rompere le regole e piegare le leggi, e d’altra parte la massa degli esclusi ogni giorno più frustrati, dominati da un palpabile senso d’ingiustizia, e non ultimo l’evento delle prossime elezioni americane, tutto questo porta ad accendere un riflettore d’allarme proprio sul 2024.
La situazione americana è emblematica: i due partiti, fino a pochi giorni fa quasi appaiati nei sondaggi, oggi con Trump un po’ più avanti di Biden, non accettano la vittoria dell’avversario ormai considerato alla stregua di un subdolo nemico. Il Paese è spaccato come mai nella storia, ci sono due Americhe che si fronteggiano. E la nube retorica sta aumentando, prodromo storico di scoppio di violenza.
Turchin considera che i periodi di instabilità durino generalmente una decina d’anni. Certo, lui parla di ambiti ben più vasti della nostra piccola Isola, ma ritiene che siano possibili ovunque i contagi. Assisteremo dunque per le nostre elezioni a picchi di radicalizzazione più spinta di quella attuale e a un manicheismo ancora più stupido? Sarò forse troppo pessimista, ma io non nutro dubbi, la perdente sarà ancora una volta la Sardegna.