R inunciando ad alzare i tassi d’interesse, la Banca centrale europea ha preso atto della situazione d’incertezza che grava sull’economia mondiale. Il prezzo del petrolio, attorno ai 80/90 dollari al barile, suggerisce che i mercati non credono che il Medioriente sia destinato a esplodere come una polveriera. E tuttavia dalla regione provengono segnali contrastanti e, soprattutto, c’è un certo racconto, tutto interno all’élite occidentale, che vede nell’acutizzare dell’eterno scontro fra Israele e palestinesi un altro sintomo di una guerra strisciante democrazie/ non-democrazie. L’economia statunitense sembra “tirare” ma in Europa la maggioranza dei Paesi ha rivisto al ribasso le stime di crescita.

Attenzione però a non pensare che l’incertezza ci riporti, automaticamente, nella stagione dei tassi zero o negativi. Quella stagione è stata del tutto eccezionale nella storia dell’umanità: nel senso più vero del termine. Il tasso d’interesse è un prezzo particolare: determina, per così dire, il tasso di cambio fra presente e futuro. Tassi d’interesse molto bassi incentivano gli investimenti ma portano anche a essere assai poco selettivi, imbarcandosi in progetti a lungo termine che non sono stati esaminati con la dovuta attenzione. Le banche centrali mantengono bassi i tassi d’interesse per spingere individui e imprese a investire anche quando le circostanze (l’11 settembre, la pandemia, la guerra in Ucraina, il terrorismo in Israele…) consiglierebbero loro di tirare i remi in barca.

M a manovre spericolate sui tassi, che li tengano bassi molto a lungo, tendono a incentivare investimenti azzardati, che a un certo punto diventano il fulcro di una crisi finanziaria di qualche tipo. È quello che è avvenuto ad esempio nel 2007/2008, quando pagammo il fio dell’abbassamento dei tassi deciso per rispondere all’attacco alle Twin Towers e della stagione di esuberanti investimenti immobiliari che ne seguì, negli Stati Uniti. Oggi siamo in una fase di inflazione che è il frutto di anni nei quali abbiamo inondato i mercati di moneta: con quella moneta, abbiamo potuto pagare di più tutta una serie di beni nel momento in cui il loro prezzo saliva per diversi motivi. Questo tuttavia – è bene ricordarlo – ci ha portato all’attuale situazione di aumento dei prezzi.

Attenzione: il fatto che la Bce abbia deciso di non aumentare i tassi non significa che la stagione dei prezzi in aumento sia finita, ma più semplicemente che l’effetto dei precedenti aumenti di tassi ha ridotto la velocità alla quale i prezzi aumentano. Se l’istituto di emissione ha deciso di non procedere a un altro aumento è in parte perché attende di verificare gli effetti degli aumenti già decisi, in parte perché l’incertezza potrebbe portare a una fase di rallentamento dell’economia, con un effetto sui prezzi (se le persone domandano una quantità inferiore di certi beni o servizi, a un certo punto i prezzi tenderanno a scendere).

Per citare uno degli economisti più saggi del secolo scorso, nessun pasto è gratis. I tassi bassi favoriscono i debitori, i tassi alti i creditori. Gli Stati, che sono grandi debitori, tendono a preferire tassi più bassi, coi quali è meno costoso seguitare a indebitarsi. Lo stesso facciamo noi nel momento in cui abbiamo un mutuo a tasso variabile, per esempio, e vorremmo sentire di meno il peso della rata sul nostro reddito.

Ma spostare risorse dai creditori ai debitori non significa crearne. Un’economia non cresce perché si fanno tante spese, chiamandole “investimenti”: cresce se si fanno investimenti in senso proprio, cioè se si anticipa denaro a vantaggio di intraprese che poi raggiungono i propri obiettivi generando risorse ulteriori.

L’inflazione purtroppo non è un problema archiviato: va solo più piano che prima. E non bastano tassi bassi per avere una crescita “sostenibile”, ovvero investimenti che sono effettivamente tali e non sprecano risorse. Non c’è nulla da festeggiare per la momentanea frenata della Bce. Riflette invece le preoccupazioni per il contesto generale. Il governo italiano non ne tragga l’idea che l’era del debito facile stia per tornare. Sarebbe un’illusione assai periclosa. Dobbiamo ancora smaltire gli eccessi degli ultimi dieci anni. Questo è il momento della prudenza: a Francoforte come a Roma.

Direttore dell’Istituto

“Bruno Leoni”

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