S arà un’estate di guerra. Spiaggia e trincea. Destini separati, nella stessa casa, l’Europa. Tutti chiedono la pace. Come? Ci vuole coraggio anche per fare la pace, la sua costruzione prima di tutto impone un’analisi razionale dei fatti sul campo di battaglia.Sono trascorsi 88 giorni, la guerra-lampo non c’è (non c’è mai stata), sul fronte sono morti decine di migliaia di ragazzi, ucraini e russi, un massacro. Mariupol è caduta (i russi stanno sminando il porto per riaprirlo), il battaglione Azov si è arreso (tutti prigionieri, nelle mani del nemico), la regione di Kherson è stata collegata alla rete internet della Crimea, gli ucraini nel Donbass resistono, ma la Russia avanza (lo ammette il Pentagono).

Il campo di battaglia sta parlando. E mette l’America di Joe Biden di fronte alla realtà. Il New York Times l’altro ieri ha pubblicato un articolo dell’Editorial Board che è un gong per la Casa Bianca: “Biden dovrebbe chiarire al presidente Volodymyr Zelensky e al suo popolo che c'è un limite all’impegno di Stati Uniti e Nato contro la Russia, e un limite alle armi, al denaro e al sostegno politico che possono raccogliere. È indispensabile che le decisioni del governo ucraino si basino su una valutazione realistica dei propri mezzi e di quanta distruzione l'Ucraina possa ancora sostenere”.

Già, il realismo. Biden ha firmato la legge che dispone altri 40 miliardi di dollari di aiuti (54 miliardi spesi in due mesi), in gran parte si tratta dell’invio di armi.

E domani il Pentagono riunirà (vertice virtuale) per la seconda volta i Paesi che sostengono Kiev.

La situazione sul campo è volatile. L’impatto del conflitto sull’economia crescerà, colpirà i ceti medi e i più poveri, stiamo entrando in recessione. Le società occidentali benestanti, popoli che non hanno mai visto l’orrore della trincea e non conoscono il sacrificio del tempo di guerra, cominceranno a vacillare, salirà la voce e il numero di chi chiede lo stop degli aiuti. Ma questo non fermerà la guerra, è stato il premier Mario Draghi a rivelare la risposta che ha ricevuto al telefono dall’uomo del Cremlino: “Ho chiesto la pace, ho trovato un muro”. Putin non accetta il tavolo del negoziato - ora più che mai - perché secondo i suoi calcoli l’Europa si sta spaccando. Il treno del negoziato è passato molte settimane fa (in Turchia) e non siamo riusciti a prenderlo per “hỳbris”’, sopravvalutazione della nostra forza e coesione interna. Aggiungo un altro elemento chiave, fonte di numerosi errori, la distanza delle élite dal quotidiano mestiere di vivere (Cesare Pavese: “Le lezioni non si danno, si prendono”). Una lezione, eccola: siamo di fronte alla guerra di logoramento di Putin, il campo di battaglia non è quello di Twitter, dei talk show, della propaganda del tutti contro tutti, racconta una realtà diversa dalla “vittoria sul campo” declamata tempo fa con imprudenza da Josep Borrell.Le sanzioni europee sul petrolio russo sono rimaste a mezz’aria, continueremo a comprare il gas di Mosca finché il disaccoppiamento energetico non sarà un fatto possibile (c’è dietro un gigantesco lavoro su risorse, alleanze internazionali, contratti, infrastrutture, investimenti, e l’Italia lo sta facendo meglio di tutti), ci vorrà qualche anno, ma tutti sanno che l’Ucraina non ha tempo e anche noi non lo abbiamo. Per queste ragioni è urgente definire cosa sono la vittoria e la sconfitta. Il negoziato, la pace, si fa fissando l’obiettivo politico. Domande: vogliamo il “regime change” a Mosca? La caduta di Putin? Il ritiro dei russi dalla Crimea e dal Donbass? La neutralità dell’Ucraina? Quali saranno i confini? Tutto è non-detto, senza risposta.Lo scenario politico italiano è eloquente. I partiti hanno dato il mandato al premier Draghi di sostenere con i partner europei la resistenza dell’Ucraina, l’invio di armi è stato deciso dal Parlamento. Improvvisamente, con sfumature e grandi differenze, i partiti si stanno posizionando per poter affermare domani “l’avevo detto”. Ma questo non è un modo serio di far politica: chi oggi non è d’accordo con la strategia europea è in contraddizione con quanto ha votato ieri. Se vuol cambiare, lo faccia in Parlamento. Cosa sta succedendo? Si vota per le elezioni amministrative, le politiche sono dietro l'angolo, i partiti sentono la pressione dell’opinione pubblica che, a sua volta, subisce un dibattito pubblico sulla guerra che è rasoterra, male informato. Le parole di Berlusconi, le frasi di Salvini, l'agitarsi di Conte, il tentativo di Letta di tenere insieme le anime del Pd, un equilibrio tra la domanda della base pacifista e l'Atlantismo necessario, sono la spia dell’incertezza. Sull'imballaggio della politica italiana c'è una scritta: fragile. Chi parlava ieri di “vittoria” ha sbagliato per eccesso di confidenza (le sanzioni non vanno in trincea, l’agenda della guerra la detta chi fa la guerra), ma chi dice oggi che bisogna fermare tutto non fa altro che peggiorare la situazione perché Putin non bloccherà il suo esercito, ha capito che le nostre società sono deboli, pronte alla resa. Mosca sta attaccando.Lenin disse: “Ci sono dei decenni in cui non accade nulla. E poi delle settimane in cui accadono decenni”. In 88 giorni di guerra sono trascorsi decenni. Molti sono rimasti indietro.

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