L ’inflazione, anche se resta a livelli ancora elevati sulle due sponde dell’Atlantico, comincia a rallentare. È il segnale che gli aumenti dei tassi d’interesse ufficiali praticati nei mesi scorsi sia dalla Federal Reserve, sia dalla Bce, stanno cominciando a produrre i loro effetti. L’inflazione Usa, pur in discesa al 7,7% a ottobre dal 9,1% di giugno, resta ancora alta, come ha affermato il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell. In ogni caso, questo piccolo segnale è sufficiente secondo Powell per decidere che il prossimo rialzo dei tassi Usa sarà ridotto allo 0,5%, dopo quattro consecutivi dello 0,75%.

T uttavia, per ripristinare la stabilità dei prezzi sarà necessario mantenere tassi alti ancora a lungo, ha sostenuto Powell: «La storia ci mette in guardia contro un allentamento prematuro».

Anche in Europa, arrivano i primi segnali che l’inflazione potrebbe stabilizzarsi e avviare, nei prossimi mesi, una discesa graduale. Gli ultimi dati preliminari di Eurostat relativi al mese di novembre, infatti, per la prima volta dal giugno del 2021 segnalano una discesa, anche se modesta: il tasso d’inflazione in area euro cala dal 10,6% di ottobre al 10% di novembre. Si tratta della prima riduzione dopo mesi di crescita ininterrotta, dovuta anche in questo caso all’aumento dei prezzi dell’energia e ai record dei prezzi al consumo, che non si registravano dagli anni Novanta. Secondo i dati diffusi sempre da Eurostat, infatti, l’energia è ancora la principale componente che determina l’inflazione, nonostante l’incremento dei prezzi sia sceso dal 41,5% di ottobre al 34,9% di novembre.

Ancora in salita, invece, il ritmo di crescita dei prezzi del comparto alimentare e tabacco (+13,6% a novembre contro il +13,1% di ottobre), mentre rimangono stabili i prodotti industriali non energetici (+6,1%, lo stesso livello di ottobre) e dei servizi (+4,2% contro il 4,3% di ottobre). Si stabilizza a novembre anche la cosiddetta “inflazione di fondo”, che stima tutti i prezzi meno quelli più soggetti a bruschi cambiamenti, come per energia, alimenti, alcolici e tabacco. Anch’essa scende in novembre da 5,02% a 4,95%.

A livello macroeconomico, dunque, si cominciano a vedere in azione gli effetti di due forze collegate. La prima riguarda l’impatto dei prezzi delle materie prime. Dalle derrate alimentari, al gas, all’elettricità, quasi tutto costa molto di più rispetto all’inizio del 2021. Solo che molti prodotti iniziano a non essere più cari di un anno fa; dunque, la variazione dei prezzi su base annuale misurata dall’inflazione inizia a non essere più tendenzialmente al rialzo. Il prezzo del gas resta alto in maniera allarmante, perché la crisi dell’energia non è alle spalle. Ma oggi viaggia a 146 dollari per megawattora, mentre a dicembre del 2021 era arrivato sopra 180 euro. Anche qui, la variazione di prezzo sarà presto negativa o nulla. Dinamica più evidente sul petrolio: a novembre c’è stata una discesa del 12% e alle attuali quotazioni la variazione rispetto a undici mesi fa è pari a zero, anche se il pieno costa sempre caro.

La seconda forza che frena l’inflazione, infine, è legata alla prima, ma è stata impressa dalle politiche monetarie restrittive delle Banche centrali (Fed e Bce). Da mesi, infatti, l’economia mondiale sta decelerando. Il rischio di una recessione oggi sembra meno alto di alcuni mesi fa. La frenata, tuttavia, spinge al ribasso anche il prezzo di greggio e alimentari.

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