R eshoring, nearshoring, dual sourcing. Parole inusuali, astruse persino. Che tradotte hanno un significato: il baricentro del traffico merci mondiale sta tornando nel Mediterraneo. Entro dieci anni l’Estremo Oriente, Cina in particolare, non avranno più la leadership della produzione e della distribuzione delle merci.

L’analisi è di Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale di Trieste e di Espo (European sea ports organization), che afferma: «Entro dieci anni la Cina non avrà più il ruolo centrale che ha oggi con il reshoring delle attività manufatturiere». Temi niente affatto lontani dalla realtà sarda, perché il Porto canale di Cagliari, ormai in crisi nera, potrebbe inserirsi nel grande cambiamento che si intravede all’orizzonte.

D’Agostino parla con cognizione di causa. Ecco ancora le sue parole: «Siamo di fronte a una regionalizzazione della globalizzazione, che porta a catene logistiche più corte rispetto a quelle a cui eravamo abituati finora». In parole più semplici, la tendenza è a non accentrare la produzione in un solo Paese, così come accade adesso con la Cina.

P echino continuerà a avere un ruolo importante ma non sarà monopolista della produzione né della distribuzione. A spingere in tale direzione sono soprattutto gli Stati Uniti, impegnati in un braccio di ferro con la Cina per la supremazia economica. Gli americani stanno stimolando la produzione nazionale e presto gli andranno dietro tutte le più grandi economie mondiali. Se non è il tramonto della Via della Seta poco ci manca.C’è chi ha fiutato il vento che cambia: Marocco e Turchia. Questi due Paesi sono pronti a ospitare massicce produzioni industriali. In particolare la Turchia che già lavora molto per l’Europa, in particolare per la Germania. Con il Mar Nero impraticabile per la guerra Russia-Ucraina, è il Mediterraneo, e soprattutto l’Adriatico, ad avere molte carte da giocare. Sta per passare un treno sul quale potrebbe salire il Porto canale di Cagliari. Questo scalo è in crisi profonda. I 178 dipendenti fanno riferimento a un’agenzia che fornisce sussidi ma il traffico dei container è quasi a zero. Eppure è un porto con i numeri per emergere: 1.600 metri di banchina, sessanta ettari pavimentati, altri quattrocento potenziali, un fondale di sedici metri. Certo, le gru non sono adatte e l’eventuale gestore dovrebbe investire per allestirne di nuove, e questo è un ostacolo. Resta la difficoltà a inserirsi in un flusso di merci mondiale controllato da sole dieci compagnie, divise in tre alleanze. Queste potenti lobby controllano il 98% del traffico mondiale delle merci. Attraverso di esse bisogna passare.

Ora le domande sono: i nostri governanti sono a conoscenza del nuovo scenario? E ancora: cosa stanno facendo per far tornare l’Italia al centro del traffico di merci? C’è un dato di fatto incontrovertibile: molti Paesi non vogliono rassegnarsi alla potenza cinese e hanno finalmente capito che consentire al colosso asiatico di agire da monopolista significa rimanere strozzati. Per capirlo è sufficiente acquistare un’auto: i tempi di attesa vanno dai quattro mesi in su perché le industrie automobilistiche hanno difficoltà a ricevere componenti elettronici, sempre più importanti nelle vetture moderne. Inutile dire che la produzione di questi componenti è esclusivo appannaggio della Cina. So addirittura di un concessionario sassarese costretto a restituire l’anticipo versato da un cliente per l’acquisto di una macchina di lusso non ancora arrivata a un anno e mezzo dall’ordine. Si sposteranno le produzioni, le rotte dei traffici merci saranno diverse, scali come Genova, Marsiglia, Trieste sognano un rilancio in grande stile. Servirebbero idee e volontà per inserire Cagliari nel mutato scenario internazionale.

© Riproduzione riservata