C 'è un termine che ben individua di questi tempi il difficile rapporto che intercorre fra molti sardi e la Regione, qui intesa come l'insieme istituzionale di politici e di burocrati. Quel termine è sfiducia, che poi non è altro che il disconoscimento delle capacità di saper assicurare all'Isola, con un buon governo, benessere e progresso. Si tratterebbe di una revoca punitiva, figlia - come si sostiene - delle manchevolezze, delle insufficienze e delle lentezze con cui vengono affrontate, con i necessari interventi, le numerose e continue sofferenze che angustiano le nostre comunità.

Una decisa conferma di quest'atteggiamento lo si riscontra nella messa in discussione della stessa Autonomia regionale, ritenendola inadeguata, oltre che poco autorevole, nei confronti di un centralismo statuale sempre più oppressivo e invadente. Per la verità, lo Statuto autonomistico che ha fatto nascere la Regione ha compiuto ormai settant'anni e, per quel che si vede, li dimostra proprio tutti. Invecchiato anzitempo, e depotenziato da troppe disattenzioni, avrebbe quindi necessità e urgenza di un'attenta revisione. D'altra parte un'analoga esigenza la si era avvertita più volte anche in passato, ma i diversi legislatori s'erano sempre dimostrati allergici e disattrezzati nel proporre le modifiche necessarie, tramutando così ogni tentativo in un aborto. Ora, con le elezioni regionali ormai alle porte, credo che il problema si riproponga in modo ancor più perentorio, per evitare che la crisi della Regione diventi del tutto irreversibile. (...)

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