M a la Sardegna possiede oggi le risorse e le capacità progettuali necessarie per mettere in atto una strategia capace di rimetterla in marcia e di superare l'arretramento economico ed il sommovimento sociale prodotti dalla pandemia da coronavirus, e di cui ci ha dato una realistica e cruda analisi l'ultimo rapporto di Bankitalia? Ancora: dispone di una classe dirigente - nella politica, nelle istituzioni, nell'impresa, nel sindacato, nella scuola, nelle professioni - che abbia le qualità e le volontà indispensabili per affrontare questo difficile impegno?

Sono domande che da qualche tempo sono divenute consuete dalle nostre parti, accompagnate da risposte, ahinoi, quasi sempre sature di perplessità, se non proprio di negatività. Per via della convinzione sempre più condivisa sull'inadeguatezza e sull'impreparazione delle classi dirigenti disponibili. Ad iniziare da quelle della politica, a cui si addebita, non senza ragione, d'essere tanto forti nell'autolegittimarsi e nell'autoriprodursi quanto deboli in competenza ed esperienza, così da meritarsi il sarcastico appellativo di “toninellanti allo sbaraglio” (copyright Massimo Gramellini), per la loro acclarata superficialità mostrata nelle attività di governo delle regioni. Con l'aggravante d'apparire, in molti esponenti, infettate da eccessi di “individualismo amorale”, cioè da quell'evidente disinteresse nei confronti di qualsivoglia fine rimanga al di fuori del recinto dei propri interessi elettorali e personali.

D 'altra parte si è sempre più diffusa, anche qui da noi come in tutto il Paese, quella deriva amorale che ha ormai contagiato anche il cittadino comune e le stesse forze sociali ed economiche, tanto che ciascuno tira l'acqua al proprio mulino e ciò che ne consegue appare un sistema spartitorio che allontana e rende del tutto precarie, se non irraggiungibili, le prospettive sul futuro.

Appare quindi sempre più condividibile l'affermazione di Giuliano Amato che, disquisendo sulle cause del declino del Paese, ne attribuiva la causa alla trasformazione delle classi dirigenti in un insieme di centri di potere, frammentati fra loro da interessi settoriali e corporativi, oltre che completamente autoreferenziali.

Quel pericolo lo avvertiamo presente anche dalle nostre parti. Non a caso le cronache politiche continuano a registrare episodi e vicende che confermerebbero quelle degradanti disfunzioni. Che hanno generato in particolare la decadenza delle rappresentanze politiche, determinate anche dal loro isolamento (o della loro autoreferenzialità) nei confronti delle comunità degli elettori. Ci si è trovati così di fronte - per via di tutte queste anomalie - a delle attività di governo della Regione sempre più confuse e pasticciate, soprattutto prive d'una visione generale di come, e con quali strumenti, possa essere affrontata la recessione e riavviata la ripresa.

Non a caso proprio le stesse rappresentanze sociali hanno sottolineato queste insufficienze, allarmate dall'ampliarsi delle aree di crisi e dal montante default di interi settori produttivi. I confusi e sterili interventi in settori vitali per la nostra isola come il turismo, l'agricoltura e l'industria, non diversamente da talune amene pochades verificatesi nell'affrontare la grave emergenza sanitaria, starebbero a dimostrare quell'inadeguatezza e quell'insoddisfazione lamentate dalla pubblica opinione.

Ci sarebbe quindi da domandarsi in che modo, e con quali iniziative, può essere possibile ridare alla Sardegna una classe dirigente politica esperta e virtuosa, soprattutto ben motivata e dotata delle capacità e delle conoscenze utili per riavviare lo sviluppo economico e per diffondere il benessere sociale.

Potrebbe essere interessante - è questo il convincimento di chi scrive - lanciare un appello alle rappresentanze della nostra cultura sociale ed economica perché diano il loro contributo per realizzare un futuro dell'Isola che sia adeguato alle aspirazioni ed alle attese dei suoi cittadini. In modo da poterla liberare definitivamente dalle ambasce e dai pericoli odierni, tracciandone una via sicura per avviare la ripresa.

S'auspicherebbe d'avere la disponibilità di realizzare un “patto costituente” per il futuro della Sardegna che veda, insieme alle rappresentanze della politica, le varie istituzioni sociali, economiche, culturali e del volontariato per avviare una stagione riformista che ridia, sotto l'impulso del beneagurante “fortza paris” dei nostri fantaccini, il necessario rinnovamento civico ed ambientale di cui la Sardegna abbisogna per assicurare un futuro di benessere ai nostri figli e nipoti.

PAOLO FADDA

STORICO E SCRITTORE
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