T ema annoso quello dei rapporti tra politica ed economia. Che da difficili, in questi ultimi tempi sono divenuti ancor più tesi e conflittuali, tanto da far pensare ad un infausto divorzio. Nel senso, spieghiamo, che s'è creata una sorta di incomunicabilità - di interessi oltre che di linguaggio - tra le esigenze dell'economia e le decisioni della politica. Tanto che le buone prassi politiche consistenti nell'analisi delle possibili ricadute positive degli interventi programmati, vengono ribaltate in quelle della loro convenienza e validità ai fini elettoralistici.

Purtroppo, per quel che s'è verificato in quest'ultimo ventennio, quest'eterogenesi dei fini ha coinvolto sia la destra che la sinistra, a dimostrazione di un evidente imbarbarimento dell'intera società dei politici, con la conseguente incapacità di perseguire fini socialmente virtuosi.

Naturalmente c'è da augurarsi un ravvedimento virtuoso della politica, ma anche dell'economia, perché di quella, diciamo così, peccaminosa, se ne è sempre fatto uso ed abuso. In quanto dalla prima ci si può attendere progresso e benessere, mentre la seconda può solo provocare sprechi ed inutilità.

Gli esempi sono, a ben vedere, piuttosto numerosi, dato che le ricadute positive degli investimenti pubblici effettuati nell'ultimo ventennio - in indifferenza di fonte: europea, nazionale, regionale - non avrebbero riguardato, secondo una recente indagine, neppure un quarto degli interventi attuati. (...)

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