N iet. Con un colpo secco, un no senza appello, la vicepremier ucraina Iryna Vereshchuk ieri a “Frontiere” su Raitre ha risposto alla mia domanda se in un negoziato di pace con la Russia il suo governo avrebbe mai ceduto la Crimea e il Donbass.

“Niet”, è una risposta con una doppia lettura: significa che questa donna è motivata a combattere e in guerra è un fattore fondamentale, ma nello stesso tempo dice a tutti noi che la via della pace tra Kiev e Mosca è quasi impraticabile. Se nessuno è disposto a cedere qualcosa (per questo si chiama negoziato), allora il risultato è lo scontro totale. Putin non lascerà mai la Crimea (che ha annesso dal 2014, otto anni fa) e non è immaginabile il ritiro dell’esercito russo dal Donbass. Come ha spiegato in un’intervista sul New Statesman l’ideologo della “dottrina Putin”, Sergey Karaganov: «Non so quale sarà l’esito di questa guerra, ma penso che comporterà la spartizione dell'Ucraina, in un modo o nell'altro. Speriamo che alla fine rimanga ancora qualcosa chiamato Ucraina. Ma la Russia non può permettersi di perdere, quindi abbiamo bisogno di una sorta di vittoria. E se c’è la sensazione che stiamo perdendo la guerra, allora penso che ci sia una precisa possibilità di escalation. Questa guerra è una sorta di guerra per procura tra l’Occidente e il “resto” - essendo la Russia, come è stato nella storia, l’apice del “resto” - per un futuro ordine mondiale».

Questa è la posta in gioco, vista da Mosca. E bastano queste parole per capire che siamo di fronte a una partita letale.

S e non c’è possibilità di sedersi al tavolo della diplomazia per discutere di tregua, di status giuridico del territorio, dei confini, della presenza degli eserciti, di neutralità, di adesione dell’Ucraina all’Unione europea (e non alla Nato), allora non resta che una via: la guerra. Se esiste solo il campo di battaglia, uno dei contendenti dovrà cadere e la pace - e la storia, come accadde nella Seconda guerra mondiale - la scriveranno solo i vincitori (e l’Unione Sovietica di Stalin fu tra questi).I leader dell’Occidente vanno a Kiev, ieri è stato il turno di Boris Johnson che ha annunciato l’invio di missili anti-nave, e di Joseph Borrell che ha fatto un passo lungo e dal futuro incerto: «La guerra sarà vinta sul campo di battaglia e a prevalere sarà l’Ucraina che tornerà ancora più forte». Se l’alto rappresentante della politica estera Ue dice questo, bisogna attrezzarsi per un conflitto lungo dagli esiti imprevedibili e potenzialmente devastanti. La Russia secondo i dati del Sipri di Stoccolma possiede 6255 testate nucleari, di cui 1625 pronte all’uso, dislocate nelle basi militari e sui missili nei silos, nei mezzi mobili, sugli aerei, le navi e i sottomarini. Questa è la realtà strategica di cui l’élite politica europea non fa cenno. La reazione della Russia alla dichiarazione di Borrell è stata veemente, il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, ha commentato: «Borrel deve essere immediatamente licenziato dai Paesi dell’Ue. Il suo compito è cercare una soluzione al problema attraverso la diplomazia». Se la Russia si convince che il piano è quello di far cadere Putin - le parole di Biden a Varsavia - allora il quadro si complica.Se davvero la via è quella indicata da Borrell (la vittoria sul campo di battaglia), allora ai parlamenti nazionali va posta in maniera netta la domanda su quale sia la dimensione del conflitto, come vogliamo affrontarlo, cosa siamo disposti a sacrificare. Si può dire che “si vis pacem, para bellum”, certo, ma non viviamo nel tempo degli antichi romani che combattevano con gladio, lancia, balestre. Con una potenza nucleare come la Russia gli schemi non sono quelli di una guerra classica, il dominio è quello del “Nuclear First Strike”, il dilemma è uno solo: chi preme per primo il pulsante della bomba atomica?Putin tempo fa disse: «In una guerra nucleare non vince nessuno». E se va preso sul serio Borrell, va tenuta a mente anche la frase dell’uomo del Cremlino. “È in gioco il destino dell’intera Europa”, ha detto il presidente Sergio Mattarella. Ha ragione e il campo è ancora più largo del Vecchio Continente, si stanno ridisegnando confini e equilibri delle grandi potenze, è in corso un dispiegamento di forze tra l’Occidente e il “resto del mondo”. La guerra in Ucraina è solo l’inizio di un nuovo risiko globale, la Cina sta osservando le mosse degli Stati Uniti in Ucraina per calibrare la sua risposta quando arriverà il momento di annettere Taiwan al suo territorio, fatto che per Pechino non è un’ipotesi, non una questione di se ma solo di quando. Il Wall Street Journal riporta ch e la Cina guardando a quanto accade a Kiev ha deciso di accelerare l'espansione del suo arsenale atomico. Xi Jinping ha bisogno di una forte deterrenza nucleare per dire a Biden (o al suo successore) che Taiwan è un affare interno della Cina e in caso di reazione all’invasione si troverà di fronte alla replica dello scenario attuale con la Russia.

Questa è la realtà di oggi e di domani, è una questione vitale che nel film “War Games”, quando il computer si gioca tutte le possibilità di lancio dei missili nucleari, arriva a una conclusione: “Strano gioco. L'unica mossa vincente è non giocare. Che ne dice di una bella partita a scacchi?”. Siamo a questo punto, non giocate se non conoscete le regole e il destino che ci attende.

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