S iamo alle solite. Di soppiatto, si individua di nuovo la Sardegna come uno dei siti per il deposito di scorie nucleari. Un problema immane che da decenni i nostri governanti non riescono a risolvere per mancanza di prospettiva politica e di capacità di dialogare con le comunità locali.

In compenso Sogin, ministeri dello Sviluppo economico e dell'Ambiente sono stati solerti a rifilarci con nonchalance, come se fosse un atto di ordinaria burocrazia, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) a ospitare il deposito dei rifiuti radioattivi.

In questo papello la Sardegna fa la parte del leone: ben quattordici siti. Un oltraggio, eppure una soluzione va trovata, cosa non facile vista la tendenza (non solo italiana) a fare proprio il motto americano not in my back yard , ovvero non nel mio giardino. Che sia il deposito di scorie nucleari, il termovalorizzatore o il campo nomadi, si faccia dappertutto ma non nel mio cortile.

Poiché l'opposizione è giunta non solo dall'Isola (nel referendum del 2011 i sardi si espressero col 97% di no) ma da tanti altri sindaci italiani, resta la domanda: dove diavolo le mettiamo queste scorie nucleari?

L'unica via è che si apra un percorso partecipato, con il contributo di comunità locali, associazioni, sindaci, scienziati, per individuare un deposito unico per scorie a bassa e media intensità. Sono quelle che si producono, tra l'altro, con la medicina nucleare, fondamentale per diagnosticare gravi malattie. (...)

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