V olo United Airlines da Nashville a Washington DC, venerdì 23 ottobre, ore 14.45, posto 11 C, classe economy premium, il collegamento Internet funziona benissimo, scrivo questo articolo per l'Unione Sarda.

L'aereo è pieno, tutti i passeggeri indossano la mascherina, siamo in volo, ordino un caffè, quella calda brodaglia americana, rassicurante mentre lasci il Tennessee, le luci, la musica, l'inchiostro versato a Nashville. Ieri è stata una grande giornata di lavoro, il dibattito tra Trump e Biden un momento importante della campagna presidenziale, una battaglia fatta di colpi alti e bassi, colpi di scena. I passeggeri sono tutti tranquilli, si torna alla capitale, la luccicante Washington DC, il Potomac che ti abbraccia con le sue rive fiorite, non c'è ansia a bordo, tutti qui sanno che bisogna andare avanti, è la vita che va. Si passa su un altro fuso orario, si affronta la prova di ogni giorno.

Sono qui in America per raccontare la corsa presidenziale, un grande romanzo, un fiume che scorre con la musica di “Cat People” di David Bowie (“And I've been putting out the fire with gasoline / See these eyes so red / Red like jungle burning bright”), questo paese titanico, il volo dell'aquila, la vita che scintilla sulle dita che corrono sulla tastiera, scrivere, ho la mente proiettata verso il gran finale del 3 novembre e la coda lunga di un risultato tutto da scoprire.

C'è questa storia che zampilla e poi ce n'è un'altra che sembra uscire strisciando da una grotta.

S embra uscire dal buio, da un palazzo pieno di ragnatele, un paesaggio di rovine dove la luce resta fioca, mai notte e mai giorno, un limbo dove neppure il buio e la luce riescono a prevalere l'uno sull'altro. Le notizie che arrivano dall'Italia sono l'esatto contrario di quel che si sente quando sei in America.

Nel Belpaese dominano caos e una rassegnazione mascherata, una resa totale al virus e la tromba che suona la ritirata nelle proprie abitazioni, in attesa di un Godot che non verrà mai a liberarci dai nostri fantasmi. Ci eravamo auto-dichiarati “Paese modello” una decina di giorni fa e ora guardate dove siamo: nella stanza buia del contagio esponenziale, nella tentazione di un lockdown che sarà il colpo di grazia all'economia che non è una cosa astratta, ma la carne viva di chi in questo Paese fa impresa.

Il conflitto tra garantiti e produttori sta per conoscere un altro balzo e un'altra caduta. Lo Stato è slabbrato, lo sbrego costituzionale è visibile: il governo nega il lockdown, attende che siano le Regioni a farlo, queste ultime procedono in rigoroso disordine sparso, domina l'ansia, la psicosi è seminata tra e dai media come se non ci fosse più un domani, la parola futuro è stata cancellata dal discorso pubblico, la politica ha lasciato ancora la parola ai virologi che si sostituiscono alla politica che agevolmente si fa rimpiazzare, si impaginano e vanno in rotativa parole che alimentano l'inquietudine: coprifuoco, lockdown, isolamento. Il mio Paese, l'Italia, sta tornando nella dimensione parallela che già abbiamo visto, quella del “dark winter”, il buio inverno senza mai una parola che sia luce, speranza, gioia, coraggio e lotta per il domani.

Lo scenario americano ha un tono diverso e questo nonostante sia in corso una furiosa battaglia presidenziale che si gioca in buona parte sulla risposta al coronavirus. Nella vita di ogni giorno, nelle famiglie e tra i lavoratori c'è la consapevolezza di quel che sta accadendo e si cerca il modo di convivere con il virus senza uccidere l'economia, perché sanno tutti che non si può morire di fame per non morire di virus. Le regole esistono, non c'è alcun Paese di selvaggi o altre idiozie che ogni tanto si leggono sui media degli intelligenti a prescindere. A Washington DC tutti usano la mascherina, i locali chiudono prima di mezzanotte, il distanziamento è una regola rispettata; in Florida, a Miami, le spiagge sono piene, certo, gli alberghi lavorano, i ristoranti sono aperti, i locali avevano il limite orario di mezzanotte fino a qualche giorno fa, le distanze sono tutto sommato rispettate, nonostante il clima a Ocean Drive sia molto più rilassato che a Pennsylvania Avenue; a Nashville, in Tennessee, il volume dei locali fino a mezzanotte è al massimo, dopo si va tutti a casa, anche nel regno della grande musica, la festa a un certo punto finisce.

Ma la vita continua, non si interrompe, non si entra tutti nel sarcofago come Nosferatu. Si cerca di stare sicuri e di continuare a essere umani (non sub-umani) non si vieta il canto (anche questo è successo in Italia), si suona e “the show must go on”, la vita va avanti perché non si può tornare indietro, a fare i cavernicoli con l'abbonamento a Netflix e il cervello dato in comodato d'uso perenne a Facebook.

È questo il futuro dell'Italia? Forse no, prima o poi il sonnambulismo finirà. E sì, certo che l'American Dream è sbiadito, è vero che questo Paese ha i suoi grandi problemi, ma resta sempre, ieri, oggi e domani “the land of freedom”, la terra della libertà. Qui non hanno smesso di vivere e sognare.

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
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