Non omnis moriar (non morirò tutto). Viste le addolorate reazioni collettive alla sua scomparsa, ormai un mese, Roberto Frongia avrebbe gradito questa frase, come saluto, perché spesso l'ha condivisa. Non solo nelle forme consolatorie perché qualcuno che abita i nostri pensieri scende qualche fermata prima. Il verso della celebre Ode (III, 30, 6) di Orazio, sarebbe incomprensibile senza il folgorante incipit: exegi monumentum aere perennius (ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo).

A sottolineare quanto ciò che sembra evanescente diventa più duraturo di quel bronzo, nel senso simbolico più che materico, che richiamava alla mente di un romano il superamento del tribalismo in favore della res pubblica. Milleseicento anni dopo Shakespeare lo dirà in maniera memorabile nel suo capolavoro teatrale La Tempesta: noi siamo della stessa stoffa di cui sono fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita. C'è frase più sublime che sia sintesi di chiunque aborra l'indifferenza, per dirla col nostro Antonio Gramsci, e si doni totalmente allo spazio pubblico e faccia del suo pensiero, parola e intelligenza collettive? Certo che no. Spesso si discute sul senso della parola stoffa, usata da Shakespeare, di cui sono fatti i sogni. Rasenta l'ossimoro! Ma perché mai dubitarne? L'ordito e la trama che danno vita a solide tessiture, comprese quelle personali e sociali, necessitano di lavoro senza soluzione, di materiali di prima qualità, di pazienze agite anche quando sembra non ci sia via di uscita, di dialettiche costruttive, di riconoscimenti reciproci, di obbligo a prendersi sul serio se si ricopre un ruolo. Tanto più accade - con Roberto Frongia è accaduto - tanto più la stoffa di Shakespeare è metafora di una vita consapevolmente vissuta e coerente con la seconda parte della diade. Il sogno come visione, capacità di spostare il limite e di andare oltre un sé narcisistico e ripiegato per essere io collettivo e indiviso. Non c'è modo se non comunitario e storico per esorcizzare la morte, specie se preannunciata. Impone comunque una profonda autocoscienza, specie in tempi tanto infausti. Anche quando le tempistiche assurgono a simboli che ricompongono quanto è stato diviso e mai accettato. Ma forse proprio per questo la morte di Roberto Frongia non è arrivata invadente e inopportuna perché ha rispettato tempi e stagioni. Ha finito per essere nella traiettoria di un vero dies natalis; persino se si guarda la tempistica e l'esito del percorso per reinserire il principio d'insularità in Costituzione. Percorso che ha misurato la capacità della nostra gente a credere nella bellezza di essere fatti della stessa stoffa dei sogni, solo se un vero collettivo li invera. Roberto Frongia ha vissuto la gioia di vedere la proposta essere licenziata dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato. Entrerà infatti in Aula a febbraio. Eravamo e siamo tutti certi che i nostri parlamentari non si sottrarranno alla loro funzione. Quando passerà e tutto l'iter sarà finito, la classe dirigente sarda non avrà più alibi per riscrivere il futuro della nostra isola con dignità, determinazione, grazia. Erano la misura di Roberto. Ci mancheranno, insieme all'ironia del suo sguardo buono. Che fortuna grande averle incrociate. Tibi gratias agimus.

MARIA ANTONIETTA MONGIU
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