“ I nadeguata”; “Copriti”; “Parla come un libro stampato”; “Sei nervosa? Perché stasera non esci con qualche tuo amico?”. Espressioni usate da uomini verso donne con ruoli istituzionali non dissimili che di colpo polverizzano tutta la retorica della parità di genere, più nominalistica che reale; di commissioni di parità variamente dosate da appartenenze partitiche; di femminilizzazione di ogni sostantivo. Uomini autorevoli per ruolo quanto autoritari e disconoscitivi nella relazione interpersonale.

Davvero queste espressioni non hanno a che fare con i femminicidi? In realtà ne sono parenti strette. Se poi si considera la funzione esemplare di chi è classe dirigente si tratta di cattivi maestri che si attardano nell'infanzia della relazione tra generi, vero terreno di coltura di ogni femminicidio, agito o fantasticato. Si possono anche finanziare centri antiviolenza ma la sostanza del male oscuro non cambia.

Riguarda anche le donne, ogni volta che accettano in qualsiasi mestiere, compresa la politica, di essere intermediate soprattutto quando sono del tutto incompetenti per ruoli che le competenze pretendono. Non serve come giustificazione che gli uomini, a prescindere dalle competenze, usino, sempre e comunque, l'intermediazione più del merito. C'è una vasta letteratura, da Gramsci in poi, che tematizza questa connotazione del “dominio” che, tradendo l'essenza stessa dell'essere classe dirigente, surroga la perdita del consenso con la “pura forza coercitiva”. (...)

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