I santi tra sagre e sacro
Maria Antonietta MongiuP ochi testi narrativi hanno nella costruzione la complessità delle storie dei santi. Si tratta di narrazioni che procedono per accumulazione e per differenziazioni di temi nelle quali ineriscono tempo e spazio in cui sono ambientate. Stratificano pratiche che spesso non appartengono al protagonista. Lo precedono o lo arricchiscono con prestiti, ricalchi, o con sincretismi e sostrati dagli esiti stravaganti e talvolta tutt'altro che edificanti. Identità mai pietrificata ma processo che rammenda generazioni e una mai dismessa essenza popolare. Anche nelle sue peggiori declinazioni. Accade, nella Sardegna attuale, in sagre e feste, moltiplicatesi a dismisura. Da tempo si è smesso di crederle sopravvivenza delle culture arcaiche o l'epica delle classi subalterne, per assurgere ad alchimia di culture, tradizionali e contemporanee, e soprattutto all'indiscussa egemonia dei decisori politici, esclusivi finanziatori attraverso pro loco, assessorati, e quant'altro.
Anticipando Michail Bactin che tematizzò la densità folklorica del carnevale, è Antonio Gramsci a fornire la grammatica per capire le tradizioni popolari come «concezione del mondo e della vita». Avevano abitato le sue infanzia e giovinezza e poi, irriducibili, la sua memoria. Musica, ballo, novenari del Guilcer ma pure le feste di sant'Efisio e di sant'Antonio abate, suoi vicini di casa.
Scrisse che il folklore lungi dall'essere «una bizzarria [..] una cosa ridicola» è «cosa molto seria». Dal corso Vittorio, dove viveva, al Dettori, a ridosso della chiesa e dell'ospedale in via Manno, attraversava luoghi interni a consolidate geografie dei santi e di Efisio in particolare. Dismesso, nel 1858, l'antico ospedale per il san Giovanni di Dio di Gaetano Cima, nella Cagliari avviata alla modernità, il 15 gennaio, suo dies natalis, Efisio continuava a fare sa prima essida; quella che accende la sera del 16, nella restante Sardegna, i fuochi di sant'Antonio che inaugurano il carnevale.
Giovanni Spano, credendo alle Carte di Arborea di Ignazio Pillito, sostenne che l'ospedale di via Manno risalisse all'altomedioevo.
Oggi sappiamo che certamente un esteso habitat rupestre utilizzava i salti di quota della regione Sa Costa fino a Buoncammino, a significare memorie eremitiche che in sant'Antonio hanno il capostipite e tradizioni, rimaste tutte nella dimensione del sacro, in Efisio.