M a davvero qualcuno si scandalizza per una donna in mutande e reggiseno? Con tutto quello che la pubblicità ci mostra da decenni? Sui giornali, in tv, al cinema? Non scherziamo. Ma se la donna in tanga e balconcino di pizzo rosso è Chiara Ferragni che di professione fa l’imprenditrice di se stessa e invece dei cartelloni sulle strade sceglie la comunicazione social, all’improvviso parte un dibattito che da Instagram tracima sui giornali, attraversa la tv e ritorna su Tiktok. E non riguarda il tema sempre attuale della sessualizzazione del corpo delle donne, ha piuttosto un tono moralista e moraleggiante che sottintende un solo pensiero: certo che si può, ma tu no. “Copriti”, e già questo, boh. “Sei una mamma”, dunque non puoi mica tutto, chiedere a Samantha Cristoforetti. “Sei brutta”, il che è opinabile, perciò lasciamo stare.

Lei invece no, non sta zitta e risponde in modo duro: “Fate schifo”. Ma fa pure capire che poco le importa perché tutto questo vociare porta acqua al mulino dell’azienda di intimo, e pure al suo, in vista di futuri contratti. Con buona pace di chi pensava di dirgliene quattro. Quelli criticano e lei raddoppia.

M a va pure oltre l’influencer da trenta di milioni di follower che Liliana Segre ha voluto per ricordare ai più giovani il rastrellamento degli ebrei e il sindaco di Firenze per portarli agli Uffizi: Ferragni afferra lo smartphone e puntando in camera gli occhioni azzurri parla di educazione. Non sta inventando niente. Non è nuovo il fenomeno dei leoni da tastiera, così ribattezzati perché si nascondono dietro un computer e col coraggio di un coniglio attaccano, poi li incontri per strada e scappano a gambe levate. Quanti di quelli che hanno avuto da ridire sulle mutande di Ferragni, se dovessero incrociarla sarebbero capaci di fermarla per dirle “copriti, che sei brutta e pure mamma”?

Il problema è che siamo dissociati, ci comportiamo in un modo davanti al piccolissimo schermo e in un altro di persona. Sempre che riusciamo a interagire con qualcuno, presi come siamo dal continuo chattare e postare anche quando siamo fisicamente insieme ad altri. Basta fermarsi a guardare qualsiasi luogo: lo scenario è sempre lo stesso. L’attesa in aeroporto, per esempio. Tutti, ma proprio tutti, soli o in compagnia, non parlano e scrollano sullo schermo compulsivamente, senza peraltro accusare stanchezza. Certo che poi è difficile interagire “di presenza”.

Sarà per questo che il ministro dell’Istruzione e del Merito ha firmato la circolare che dice no ai cellulari in classe? Forse, ma c’è molto altro. Siccome tante scuole quel provvedimento lo hanno adottato da tempo c’è da pensare che non sia la strada giusta. Far finta che gli smartphone non facciano parte della vita reale è ingenuo. E allora, se un fenomeno non lo si può fermare bisogna cavalcarlo, come si fa in mare con le onde, per non annegare. Introdurre a scuola lezioni di social dovrebbe essere, questo sì, obbligatorio. Insegnare ai ragazzi l’uso del mezzo che ha sconvolto le comunicazioni in un clic è necessario, perché attraverso i telefonini passa di tutto, di bello e di brutto. Il cyber bullismo, per dirne una, ha effetti analoghi alle botte vere. Ma non solo. Ragazzini sconosciuti e figli di personaggi come Renga e Ambra sono vittime del tutt’altro che innocuo body shaming, ossia la derisione di una persona per il suo aspetto fisico o una singola parte del volto o del corpo. Può succedere anche fuori dai social ma con Instagram viaggia tutto veloce.

Ben venga, dunque, Chiara Ferragni con i suoi post sull’educazione social, e chissenefrega se lo fa o meno per tornaconto personale. Il tema dei nostri tempi è esattamente questo. Educare alla vita virtuale. Certo, se poi, nella vita reale il portiere più forte del mondo si esibisce in un gestaccio davanti a centinaia di milioni di persone…

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