P er molti anni, il nostro è stato un Paese centrale sullo scacchiere internazionale. Eravamo terra di confine fra Est e Ovest, fra alleanza atlantica e patto di Varsavia e, per quanto avessimo i piedi fermamente piantati nella prima, il fatto che il partito comunista prendesse il 30% dei voti suggeriva che ci fosse ancora chi volesse discutere l’esito delle elezioni del 1948. Da quando la guerra fredda è finita, però, il nostro è un Paese marginale. Se il resto del mondo si interessa di noi è sostanzialmente per la situazione periclitante della nostra finanza pubblica, che suscita comprensibile preoccupazione non solo fra i partner europei. Per il resto, siamo periferia e non possiamo essere altro.

Per questo stupisce quanto la guerra in Ucraina stia calamitando l’attenzione dei partiti e dei media. Ci dividiamo sull’invio di armi, e di che genere inviarle. Una certa simpatia per Putin del vecchio centrodestra targato Berlusconi, e il fatto che si tratta di un leader assai longevo e per questa ragione indirettamente apprezzato da chi non sa più raccapezzarsi di quanto avviene sullo scacchiere internazionale, scatena istinti “putinisti”. A cui si risponde con un filoatlantismo un po’ macchiettistico, forse perché incarnato soprattutto da chi durante la guerra fredda stava dalla parte sbagliata.

In un caso e nell’altro, come sempre la politica italiana ha fatto quel che sa far meglio. Fissarsi su alcuni grandi simboli, carezzare alcune grandi battaglie ideali, e poi buttare tutto in caciara.

L o stesso governo ha parlato con voce tonante, sfiorando un certo velleitarismo. Nel bene e nel male, non siamo una potenza nucleare e militarmente non siamo certo dei giganti. È chiaro che la guerra fra Russia e Ucraina suscita sentimenti profondi. Lo sdegno per l’aggressione. La preoccupazione per le conseguenze economiche. Impensabile non parlarne. Ma forse altrettanto impensabile è che essa annulli tutto il dibattito politico, in un momento nel quale i primi morsi di una possibile recessione rendono necessario chiarirsi le idee sul futuro che immaginiamo per il Paese.

L’approccio dominante è quello per cui la spesa pubblica non rappresenta un problema, e dunque tanto vale farne di più, anche in questo delicato frangente. Il guaio è che una inflazione ormai sostenuta sollecita l’azione delle banche centrali. Si potrà andare avanti come è stato negli anni scorsi, ovvero la BCE sarà pronta a finanziare il maggior debito italiano senza fare tante storie? Che succederà quando, dopo le elezioni politiche, arriveremo a un inevitabile cambio di premier e di governo?

Il prezzo del gas sta andando alle stelle, a causa non solo delle dinamiche geopolitiche ma anche di livelli produttivi insufficienti a soddisfare la domanda. Ma, a un certo punto, la guerra finirà. Al contrario, per procurarci fonti energetiche alternative al gas ne stiamo facendo lievitare i costi: con però il non trascurabile dettaglio che tali maggiori costi incidono non solo sui prossimi dodici mesi, ma forse sui prossimi vent’anni. Che cosa significa, questo, per un Paese dove già prima del Covid e della guerra fare impresa richiedeva una certa propensione al masochismo? I fondi del PNRR, per essere spesi, devono passare per amministrazioni ed enti locali. Non è chiarissimo che tutto stia funzionando nel modo migliore. E che dire della contropartita in riforme, che dobbiamo pagare a Bruxelles? Annunci a parte, come sta procedendo? Cosa rimarrà della riforma fiscale? Il problema dell’Italia è la bassa crescita economica. Era il nostro problema negli ultimi vent’anni, lo sarà ancor più nei prossimi, dato che i governi Conte e Draghi ci lasciano in eredità un debito pubblico che pesa per il 150% del PIL. I politici che hanno o vogliono avere responsabilità di governo non dovrebbero nemmeno riuscire a dormire, arrovellati dalla necessità di tornare a crescere. Così la politica internazionale sembra fatta per offrirci un magnifico diversivo: ci dividiamo su questioni che sono soprattutto segnaletiche, rispetto alle quali non possiamo offrire che un contributo ornamentale. Mentre nessuno parla del macigno nella stanza. Un macigno sul futuro dei nostri figli.

Direttore dell’Istituto “Bruno Leoni”

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