A giudizio di molti osservatori, quanto va accadendo nell’Est d’Europa per via del conflitto russo-ucraino non potrà che determinare forti sconvolgimenti negli assetti dell’economia e degli scambi internazionali.

Secondo il geografo Michael Storper, della London School of Economics, si va assistendo ad un mutamento della globalizzazione, con grande spazio ad una forma a rete verso quella che viene indicata come una “economia arcipelago”. In quest’ipotesi si verificherebbe la formazione di un sistema satellitare in cui la dimensione regionale diverrà, da semplice articolazione amministrativa dello Stato-nazione, un’attrice in prima persona di nuove connessioni economiche con l’insieme dei sistemi produttivi internazionali.

Il verificarsi di questi mutamenti non potrà che richiedere l’esigenza di dover affrontare l’attuale debolezza strutturale della dimensione regionale quale entità economica, come fin qui accaduto, attraverso una crescita delle proprie capacità nella valorizzazione di risorse proprie da conferire al network-arcipelago. Dando così alla condizione regionale una marcia in più, rendendola parte attiva ed autonoma nel promuovere l’economia, limitando lo Stato a funzioni di semplice coordinamento.

Si è inteso fare riferimento a questo possibile o probabile scenario, per sviluppare alcune idee per il futuro della nostra Sardegna. Proprio perché quanto avvenuto con la mossa imperialista di Putin sull’Ucraina ha causato pericolosi turbamenti.

T urbamenti che riverberandosi nei rapporti economici con Ue e Usa hanno trasformato radicalmente il preesistente quadro mondiale delle produzioni e degli scambi commerciali. Conseguentemente, hanno determinato la necessità di orientare diversamente le economie regionali in modo da potersi meglio inserire in questa nuova “economia arcipelago”, evoluzione virtuosa – così parrebbe – del globalismo e del localismo tradizionali.

C’è dunque il forte bisogno di rivedere, nelle sue formulazioni e nei suoi obiettivi, la politica economica regionale. Individuando, come primo step, le possibili modalità di inserimento delle produzioni locali in una rete, cioè in un rapporto collaborativo, da terzisti o da assemblatori, con dei centri esterni. Tenendo ben presente che nella logica imprenditoriale d’oggi le relazioni a grande distanza contano ormai quanto quelle a corto raggio, se non di più. L’esempio di Taiwan nel settore dell’industria elettronica Usa ne è la conferma. In effetti alcune regioni del Centronord hanno già messo in atto delle iniziative, in collaborazione con le rappresentanze imprenditoriali locali, per poter meglio captare le nuove opportunità offerte dalla rete. Non così s’è verificato, purtroppo, in Sardegna. Tanto da aver provocato il dubbio se la nostra Regione, intesa come guida della politica economica, abbia la predisposizione culturale giusta e l’attrezzatura operativa necessaria per poter affrontare questo radicale mutamento di indirizzi, di visioni e di prospettive geografiche nelle strategie produttive.

Da troppo tempo, infatti, qui nell’isola l’intervento pubblico nell’economia s’è ridotto a sostenere piccole imprese per lavoretti a dimensione poco più che rionale con fatturati da botteguccia. Non a caso delle quasi 6mila imprese industriali sarde (dati Istat) solo il 10 per cento conta più di 9 dipendenti e neppure il 2,7 per cento raggiunge un fatturato milionario. Vi è dunque la necessità di porre come primo obiettivo politico la crescita dimensionale del sistema, perché con questa Lilliput industriale non si va da nessuna parte.

Per correggere questa situazione occorre certamente abbandonare decisamente la cultura ora affetta, sia nella società politica che in quelle industriale, da un virus assai nefasto, chiamato “localismo”. Nel senso che il loro mondo di riferimento inizia e finisce nei confini di un paesello, con il risultato di aver ridotto il regionalismo istituzionale della nostra Sardegna ad una miriade di condomini territoriali. Ecco perché quanto va accadendo nel mondo rende necessario che l’affermarsi di un risanato e rafforzato regionalismo permetta all’economia sarda di inserirsi a pieno titolo entro più complessi contesti sovranazionali.

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