L a verità è sempre rivoluzionaria. E com'è vero che sono stati i sardi a difendere la zona bianca mobilitandosi rispetto all'arrivo incontrollato e incontrollabile dall'esterno, così bisogna prendere atto che sono state la disattenzione e l'imprudenza di alcuni sardi - rafforzata dall'esasperante lentezza delle vaccinazioni nell'Isola - a causare la nostra uscita dalla zona bianca. Inutile fare le vittime, sempre meglio assumersi responsabilità per migliorarsi, per richiamare tutti a una maggiore consapevolezza, autodisciplina, organizzazione.

Q uando i genitori aiuteranno i maestri a gestire quei figli che continuano a fregarsene delle regole invece che difenderli sempre e comunque; quando le persone si rifiuteranno di partecipare a feste che in questo momento non hanno senso; quando ogni tanto si vedrà un vigile nei luoghi d'assembramento a richiamare a un comportamento corretto chi proprio non riesce a voler bene a se stesso e agli altri; quando si vedrà più gente manifestare nei modi appropriati per avere una sanità territoriale che funzioni, una campagna di vaccinazione che acceleri; quando agiremo su noi stessi proprio come abbiamo agito davanti alla scorrettezza proveniente dall'esterno - con la stessa consapevolezza, responsabilità, unità - allora avremo fatto il nostro dovere e un grande passo avanti come popolo.

C'è però un'altra verità da dire. Tutta la classe dirigente sarda in queste ore si straccia le vesti urlando che le regole che ci costringono fuori dalla zona bianca sono mal fatte e ingiuste perché non tengono conto della realtà sarda. Stupisce che ci renda conto solo ora, a babbo morto, che le regole statali non sono fatte a misura della Sardegna.

Lo sono forse quelle relative alla numerosità per tenere aperto un plesso scolastico o un punto nascita? Lo sono forse quelle per calcolare le superfici di pascolo che hanno diritto a contributi? Lo sono forse quelle che determinano a chi spetta la gestione dei nostri beni culturali?

Questa tardiva presa di coscienza non sarebbe male se la classe dirigente sarda sapesse almeno rintracciare la giusta causa del tutto.

E invece di chi è la colpa secondo i nostri? Di un algoritmo! Come se non sapessimo che dietro gli algoritmi ci sono uomini e istituzioni. Come se non sapessimo che la vera questione è che la Sardegna, comunque la si pensi, è un'altra cosa e non potrà mai fiorire se la si gestisce con occhio e cuore esterno, con parametri e logiche che non rispondono alla sua realtà, pensando di ingabbiarla in schemi e interessi altrui.

Se questa maledetta uscita dalla zona bianca servisse almeno a capire questo, a guadagnare in responsabilità e verità, la sofferenza avrebbe un senso e un valore.

FRANCISCU SEDDA

PROFESSORE ASSOCIATO

DI SEMIOTICA AL DIPARTIMENTO

DI LINGUE E LETTERATURA

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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