U na ventata di novità irrompe nel mondo della giustizia. Non è ancora entrata in vigore la riforma Cartabia del precedente Governo Draghi che già si annuncia una nuova stagione di riforme. Infatti, il Ministro della giustizia Nordio ha anticipato alle Camere le linee del suo programma di governo.

Egli ha riconosciuto che “la giustizia italiana soffre di infinite criticità, che costituiscono un elemento di freno della nostra economia e di disincentivo agli investimenti, comportando, secondo la Banca mondiale e altri studi qualificati, una perdita pari a quasi il 2% del Pil”, causa prima l’eccessiva lentezza delle procedure giudiziarie. Perciò, il Guardasigilli ha annunciato una modifica del reato di abuso d’ufficio, che oggi paralizza gli amministratori locali per “paura della firma” e blocca l’economia.

Le statistiche dimostrano che nel 2021, a fronte di circa 5400 procedimenti per abuso d’ufficio, sono state pronunciate appena 27 condanne. Inoltre, il ministro ha lamentato che nel processo penale la presunzione costituzionale di innocenza “continua ad essere vulnerata in molti modi”. Egli ha criticato l’attuale uso “eccessivo e strumentale” delle intercettazioni a causa dell’eccessiva spesa (oltre 213 milioni di euro per l’anno 2022, cioè l’80% delle spese di giustizia), mentre quest’anno si è avuto un picco di suicidi in carcere (79 sinora) perché mancano i fondi per l’assistenza psichiatrica, psicologica e medica ai detenuti.

I noltre, occorre evitare l’attuale abusiva “diffusione selezionata e pilotata” delle intercettazioni, che sono diventate “strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica”, a causa della mancata vigilanza da parte delle Procure.

Altro fronte sul quale il ministro ha annunciato di intervenire è quello della separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, osservando che “non ha senso che il pubblico ministero appartenga al medesimo ordine del giudice perché svolge un ruolo diverso”. La separazione delle carriere, distinte per il giudice e per il pubblico ministero, con due concorsi diversi e l’impossibilità di transitare da un ruolo all’altro, mira ad evitare che l’accusatore, a differenza del difensore, continui ad essere un “collega” del giudice, togliendo al giudicante quella terzietà che invece la Costituzione prescrive. La separazione delle carriere, che esiste in molti Paesi occidentali (Germania, Spagna, Portogallo, Svizzera, Gran Bretagna, Stati Uniti d’America), non attenta all’indipendenza del magistrato, ma è semplicemente una specializzazione tra due distinte professionalità perché al pubblico ministero si richiede capacità investigativa, mentre al giudice occorre serenità di giudizio.

Il ministro ha pure proposto che il procedimento disciplinare ai magistrati sia affidato ad un’alta Corte, considerato che il Consiglio superiore della magistratura è in balia delle correnti e quindi delle maggioranze politiche. In effetti, anche la recente riforma dell’ordinamento giudiziario non ha eliminato gli effetti perversi del sistema correntizio emersi dal “caso Palamara”, ma per attribuire la competenza disciplinare ad un organo diverso dal Csm occorre una revisione della Costituzione. Nordio ha criticato anche il modo in cui viene esercitata l’azione penale, che è diventata “arbitraria e capricciosa” ed è talvolta usata “come strumento di pressione investigativa”. In effetti, l’esercizio dell’azione penale è oggi sottoposto a criteri di priorità e al progetto organizzativo di ogni singola Procura, ma un’azione penale discrezionale, che deve restare sempre indipendente dal Governo, comporterebbe, oltre la modifica costituzionale, anche la necessità di individuare la responsabilità per il caso di omesso o arbitrario esercizio. Si tratta di profonde riforme del sistema penale, per alcune delle quali, come si è detto, occorre anche una revisione costituzionale e quindi la doppia approvazione parlamentare con maggioranza qualificata e perciò non sono di rapida realizzazione. Intanto rischiamo di perdere i fondi del PNRR, mentre i cittadini hanno urgente necessità di giustizia: basterà riscrivere la legge?

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