T utti impegnati a trovare i soldi per evitare che famiglie e aziende finiscano sul lastrico a causa delle bollette ma una manina non troppo disinteressata (quella del senatore forzista Marco Perosino, terminale di qualcuno ben nascosto al ministero dell’Economia e delle Finanze) ha infilato nel provvedimento anche una norma che col senno di poi disconoscono tutti. Poche righe per togliere il tetto di 240 mila euro agli stipendi delle massime cariche delle forze dell’ordine e ad alcuni incarichi dirigenziali di vertice dello Stato, dal segretario generale di Palazzo Chigi ai capi dipartimento dei ministeri.

F inirebbero così per guadagnare più del capo dello Stato Sergio Mattarella (che si è tagliato lo stipendio negli ultimi anni fissandolo proprio a 240 mila euro) grazie al fatto che quel provvedimento doveva servire ad altro e, come si sono affrettati a spiegare molti dei leader politici, non poteva essere modificato, pena la decadenza delle misure più importanti, dal Superbonus agli aiuti alle aziende sul caro bollette.

Non passa di moda il vizietto tutto italico di utilizzare qualche sotterfugio per approvare in Parlamento norme ad personam quando si è distratti da altro. Dal Governo balneare, dalla crisi energetica, dalla guerra in Ucraina. Capita con le norme sui vitalizi, nelle delibere di fine luglio delle Giunte regionali che riabilitano dirigenti cacciati qualche mese prima (peraltro in molti casi con decisioni bocciate dai giudici amministrativi per questioni di forma) oppure nei provvedimenti di fine legislatura da approvare appunto in fretta e furia. E se da un lato si danno più soldi agli italiani per evitare che le famiglie vadano sul lastrico, allo stesso tempo si ipoteca la spesa pubblica per aumenti di stipendi di cui si potrebbe fare a meno. Certo è una goccia nel mare magnum del bilancio pubblico ma forse è proprio questo che provoca più rabbia. Soprattutto perché, mattoncino dopo mattoncino, non si pone mai un argine etico alla spesa corrente.

Sforare il tetto dei 240 mila euro all’anno per il comandante generale dell’Arma o il capo della Polizia è un investimento solo sulla sua pensione, non riduce la spesa energetica degli italiani e non serve per costruire una nuova strada, cosa che magari fa comodo a un numero maggiore di cittadini. Rientra in quel modo di pensare che vede il suo capostipite nel marchese del Grillo che diceva “io so’ io e voi non siete un c…” e che ha anche l’aggravante di venire fatto a fine legislatura, in barba a ogni regola, quando tutti sono proiettati a guardare cosa si farà domani e invece si è distratti su quello che si sta facendo oggi. Poi però paghiamo tutti.

Smentendo il qualunquismo di chi dice “tanto quando vanno lì a Montecitorio o a Palazzo Madama finiscono per essere tutti uguali”, per una volta si è pensato subito a invertire la rotta, votando ieri in commissione alla Camera il nuovo emendamento presentato dal Governo per bloccare la norma. D’altronde il Parlamento ha finito il suo mandato pieno quando Mattarella ha deciso di sciogliere le Camere ed è profondamente ingiusto prendere una decisione sull’aumento degli stipendi di pochi dipendenti pubblici quando si è in sella solo per gli affari correnti. È una questione di democrazia e di interpretazione del mandato: non certo al servizio dei cittadini ma solo per vestire i panni del marchese del Grillo.

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