L ’Argentina cambia di nuovo pagina eleggendo alla presidenza l’ultranazionalista Javier Milei, leader del partito Libertà Avanza (LLa) che si definisce anarco-capitalista antisistema. Ha battuto con largo margine Sergio Massa, peronista moderato di centrosinistra il quale, in un trentennio, ha attraversato diverse posizioni politiche dal liberalismo conservatore fino a diventare ministro dell’economia del governo uscente guidato da Alberto Fernandez che si stava opponendo all’ondata antidemocratica di destra. Che invece ha vinto portando alla Casa Rosada un outsider.

M ilei vuole cambiare tutto rivoltando il Paese da cima a fondo. Questo almeno nei suoi proclami elettorali per convincere gli argentini scontenti o ridotti in miseria da una situazione economica negativa da record, che lui è il Messia chiamato a ricostruire la nazione da zero. Missione immensa quanto inverosimile nella pratica con l’inflazione al 142 per cento e 419 miliardi di dollari di debito pubblico, il peso svalutato e la disoccupazione crescente. Ma il voto delle urne si rispetta e contrariamente alle previsioni ha vinto col 56 per cento. Fa pensare e preoccupa di certo che la giovane democrazia argentina, nata 40 anni fa dopo l’ultima feroce dittatura dei militari guidati dal generale Videla, ormai allo stremo abbia scelto di tornare all’ultradestra con tutte le incognite del vincitore.

Osservando dall’altra parte dell’Atlantico ci viene difficile immaginare l’ennesimo cambiamento radicale con la maggioranza che ha promosso l’istrionico Milei dalla folta chioma tipo cantante rock e l’eloquio aggressivo alla Trump. Il neoeletto annuncia programmi che promettono di privatizzare le aziende statali e di cancellare il modello «impoveritore dello Stato onnipresente che - dice - beneficia solo alcuni mentre la maggioranza soffre. Torneremo ad occupare il posto del mondo che mai avremmo dovuto perdere per essere una potenza mondiale». Come? Bisognerà capire visto che sinora nessuna proposta di legge è stata avanzata dal suo partito.

Però dopo l’elezione ha ricevuto le calorose congratulazioni di Trump, dell’ex presidente brasiliano Bolsonaro e dell’ex presidente conservatore Mauricio Macrì che nel 2019 aveva lasciato il Paese in profonda crisi. Certo che Fernandez non ha saputo risollevare l’Argentina che negli ultimi cento anni continua questo tragico saliscendi, da periodi di prosperità grazie alle enormi risorse a miseria assoluta, alternando presidenti a generali, democrazie populiste a dittature dal pugno di ferro.

Ma ciò che allarma è proprio il personaggio Milei, soprannominato il “matto”, ex rocker, divo dei talk show, economista d’assalto che ascolta solo la sua corte guidata dalla sorella Karina, dalla fidanzata futura “premiera dama” (un’imitatrice televisiva) e soprattutto la sua vice Victoria Villarruel che nega gli orrori della dittatura di Videla e i 30 mila desaparecidos. Figlia e nipote di militari sostiene che erano tutti terroristi e chiede agli oppositori di mostrare i nomi di ogni scomparso! Non una revisionista, ma negazionista. Quella ferita terribile che il Paese non è mai riuscito a superare nonostante i processi e le condanne ai militari golpisti e negli ultimi anni con i numerosi procedimenti riaperti sia in Argentina sia in altri Paesi, come in Italia, per l’uccisione di cittadini stranieri. Ricordiamo anche otto sardi desaparecidos tra i 500 italiani.

Ed ora dopo l’elezione di Milei, le madri, le anziane nonne, i figli e i nipoti dei desaparecidos temono che la storia possa fare un surreale salto indietro, col blocco delle inchieste, dei processi in corso e l’approvazione di leggi di impun ità come già accadde negli anni Ottanta dopo la caduta della dittatura. Proprio quest’anno che si ricorda il mezzo secolo dal golpe di Pinochet (1973) in Cile e il ventennio di governi militari in tutta l’America Latina, il voto di domenica in Argentina apre inquietanti interrogativi.

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