S embra ieri quando l’ultimo (cronologicamente) dei sacerdoti della finanza, Mario Draghi, ci erudiva sulla sostenibilità del nostro debito pubblico. Una lapalissiana evidenza ci era sfuggita: il nostro Pil gioiva di un rimbalzo tecnico e aumentava percentualmente più del costo del debito stesso, tenuto vicino allo zero dai generosi ma temporanei acquisti della Bce. Bastava dunque crescere più delle aspettative di remunerazione dei mercati, il gioco era fatto.

Qual era il piano B? Altrettanto semplice: convincere gli italiani a investire in titoli di stato parte della loro stratosferica ricchezza (gli gnomi della finanza parlavano di presunti 10mila miliardi di euro posseduti dagli italiani, a fronte di un debito odierno di circa 2mila e 756 miliardi). Il piano era solo lontanamente adombrato giacché in primis qualche nostalgico avrebbe potuto confonderlo col “dare oro alla patria”, ma sostanzialmente perché si sarebbe trattato, a meno di non voler pensare male sulla volontà di restituzione, di sostituire debito a debito.

In queste direttrici d’approccio è racchiuso il senso del “soluzionismo finanziario” che ci sta prendendo alla gola.

E siste forse un’analisi critica del perché un Paese abbia cumulato un debito-monstre sempre crescente, ben superiore al nostro prodotto lordo, cioè del perché continuiamo a consumare, a sprecare più di quanto produciamo? C’è un accenno ai presupposti (economici, sociali ed etici) che dovrebbero sostenere la crescita per poterlo ripagare? Un progetto di diminuzione delle nostre dipendenze strategiche (finanziarie, energetiche, di materie prime, per la salute, ecc.)? Un ripensamento della nostra mentalità “estrattiva”, di succhiamento dai Paesi terzi di quanto occorrente ai nostri vizi?

Niente autocritiche o piani, non scherziamo, a noi piacciono le scorciatoie: dal cilindro abbiamo estratto il brillante concetto di “debito buono” (su cui la Bce ha chiuso gli occhi: più di 100 miliardi di aumento del debito pubblico in un anno) e negato i cambiamenti dello scenario, passando il messaggio non solo di essere i migliori, sostenuti da maggioranze bulgare, ma che competenza e democrazia siano due valori opposti”. E il mondo, inevitabilmente, ci è caduto addosso.

Non ripetiamo adesso l’elenco delle piaghe non bibliche ma autoinferte. Il risultato che tutti iniziano a toccare con mano è una galoppante inflazione (dalla quale neanche l’America riesce a liberarsi) che è molto facile imputare ai barbari o ai venusiani, ma che più semplicemente è indice di uno squilibrio storico che sta esplodendo tra chi stampa banconote a sproposito e chi invece scava materie prime.

Mentre facciamo preoccupati la spesa e subiamo le bollette, nessuno ci chiarisce che il costo del nostro debito è già superiore alla crescita di un Pil drogato inizialmente dalla stessa inflazione (il nostro BTp a 5 anni rende ormai il 6%; pagheremo circa 20 miliardi in più d’interessi); che questa forbice è destinata ad allargarsi di mese in mese nel prossimo anno e mezzo; che la Bce ha smesso di comprare i nostri titoli. Che ne sarà dunque della nostra sostenibilità?

Non giriamoci attorno: nell’alveo finanziario nel quale siamo intrappolati la risposta che saremo costretti a dare ai mercati è quella del Sacrificio – in maiuscolo per sottolineare che “consesso di volpi, moria di galline”. Oro a perdere per salvare la patria, dunque, sotto forma di minori consumi – anche questo è lapalissiano, ma conosceremo razionamenti e blackout, prepariamoci – e soprattutto di perdita del potere d’acquisto di salari e pensioni, di dolorose rinunce a servizi essenziali come la salute (per esempio: quale pensionato potrà permettersi cure dentistiche nei prossimi anni?), di taglio di quanto attiene alla formazione, alla cultura e alle infrastrutture, alla ricerca, al miglioramento urbano, alla sicurezza.

È possibile tutto questo? Basterebbe chiederlo a quanti hanno assistito all’esperimento greco, mai raccontato per ragioni di convenienza. Gli innamorati della finanza continueranno però a negare l’eventualità, come pure quelli del “soluzionismo tecno-ecologico” (che belle di sera le colonnine blu di ricarica delle auto elettriche!) e del “soluzionismo e basta” (nessun problema, am ico, credimi).

Bentornati al buio dell’economia di guerra, come passa il tempo.

© Riproduzione riservata