U na donna reduce da un lungo travaglio crolla sotto il peso della fatica e il bimbo partorito tre giorni prima soffoca sotto il peso del suo corpo. Ci siamo immedesimate tutte, e gli uomini come noi, e si siamo chieste come sia stato possibile. La risposta è arrivata nei commenti social. Moltissime donne hanno scritto, intanto per solidarietà alla vittima di una tragedia così grande, ma soprattutto per raccontare la loro esperienza.

E d è venuto fuori un mondo che forse non si conosceva o forse sì, ma veniva tenuto nascosto, per pudore o perché la retorica sulla madre superwoman vince su tutto. Così le donne sopportavano, in silenzio.

Ora, invece, abbiamo letto di manovre non autorizzate, visite più veterinarie che ginecologiche, parole che sanno di rimprovero fino a sconfinare nell’umiliazione, per non voler stare a raccontare qui nel dettaglio le tante testimonianze di donne che non tacciono più.

Abbiamo insomma scoperto la violenza ostetrica. Sembra un ossimoro: cosa c’entrano la violenza con l’ostetricia?, gli abusi con la nascita? Eppure è qualcosa di già studiato che rivela l’insieme di comportamenti irrispettosi delle donne durante la gravidanza: eccesso di interventi medici; cure e farmaci somministrati senza consenso; umiliazioni verbali; rifiuto della terapia del dolore; mancanza di rispetto della libera scelta sul corpo femminile. Se la vicenda terribile che ha colpito la ventinovenne romana ha saputo aprire un dibattito finora sotto traccia, non sarà successa invano.

Quella donna ha raccontato di essere a pezzi dopo 17 ore di travaglio e due notti col bambino a fianco che piangeva e non dormiva, aveva chiesto che lo portassero al nido ma le era stato detto di no, non era possibile. Nessuno può credere che in nome del cosiddetto “rooming in” - lo stare insieme fin dal primo istante che unisce madre e figlio - si debba passare sopra la stanchezza fisica e psicologica. È più facile, e forse ci si azzecca pure, pensare che i problemi della Sanità acuiti dall’emergenza Covid, a partire dalla carenza di personale tra medici, infermieri e oss, possa spingere a decisioni che nella quasi totalità delle volte non fanno danni perché va tutto bene. Del resto, si sa: le donne hanno mille risorse, che sarà mai se non dormono?, vedono il loro bambino e tirano fuori energie che neppure sanno di avere.

Ma poi succede che un neonato muore e una madre si dispera, e allora cominciamo a credere che non tutto vada così bene. Che poi, a ben pensarci, la colpa è anche nostra, uomini e donne che scriviamo e che leggiamo, che parliamo e non ascoltiamo, e che più o meno consapevolmente alle madri affidiamo la capacità di far fronte a qualunque cosa.

Quante volte abbiamo letto, e quindi scritto, di donne con uno, due, tre figli che fanno questo e pure quello, manco fossero dotate di super poteri? E quante volte, pur scherzando ma non troppo, perfino nelle chiacchiere con gli amici, abbiamo detto o sentito che trentotto di febbre abbattono un uomo ma per fermare una donna ci vuole ben altro? Sarà per questo che, stando alle statistiche, a parità di lavoro le donne vengono pagate meno? Sono più forti in partenza, vogliono pure lo stesso stipendio? Per non dire delle volte che qualcuno ha avuto parole di condanna per le donne madri che hanno l’ardire di stare lontane dai figli, sebbene per lavoro. Basti ricordare la polemica social sulla partenza di Samantha Cristoforetti nello spazio.

Il fatto è che dobbiamo smetterla con la retorica della donna-madre-super, e to rnare a parlare di esseri umani. Con le loro fragilità e debolezze. Che sono al culmine proprio nel momento più importante, come quello in cui una donna dona la vita. Non può essere lasciata sola in quelle ore, quei giorni, quelle settimane. E se dice che non ce la fa non è perché non vuole. Non ha le forze. Vi è mai capitato?

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