I l primo agosto il governo ha presentato al Parlamento le proposte di revisione del Pnrr, legandole alla possibilità di utilizzo di un altro piano comunitario noto come RepowerEu. Quest’ultimo non è altro che il piano presentato il 18 maggio 2022 dalla Commissione europea per porre fine alla dipendenza dell’Unione dai combustibili fossili russi e affrontare con la necessaria determinazione la crisi climatica. L’obiettivo è quello di adottare le necessarie contromisure per contrastare efficacemente le interruzioni nel mercato energetico dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

I l RepowerEu è uno dei fondi europei dai quali l’Italia vorrebbe attingere per il finanziamento dei progetti rimossi dal Pnrr per carenza di finanziamenti. Il governo ha già avuto il consenso di Camera e Senato per trasmettere le proposte alla Commissione europea entro la fine del mese di agosto. Secondo l’articolo 21 del Regolamento europeo del Pnrr, uno stato membro può richiedere alla Commissione di modificare o addirittura sostituire il proprio Piano originario, ma solo se siano emerse circostanze oggettive che ne impediscano la realizzazione originaria. Inoltre, il lancio del Piano RepowerEu, come risposta europea alla crisi energetica, consente agli stati membri di modificare i Piani nazionali con l’aggiunta di un capitolo dedicato alle nuove azioni per realizzare gli obiettivi lì previsti, quali la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico, la diffusione delle energie rinnovabili e la promozione del risparmio energetico.

Come hanno posto in evidenza Leonzio Rizzo, Riccardo Secomandi e Alberto Zanardi su “lavoce.info”, infatti, il documento presentato dal governo, «da un lato, prospetta una serie di aggiustamenti ai target e ai milestone relativi agli investimenti e alle riforme incluse nel Piano concordato con le istituzioni europee nel luglio 2021 e, dall’altro, individua una serie di nuovi interventi destinati a costituire il nuovo capitolo del RepowerEu». La rimodulazione del Pnrr originario proposta dal governo non sembra essere tuttavia un “intervento di piccola manutenzione”. Il governo Meloni propone infatti ben 270 modifiche su 190 obiettivi ancora da realizzare e sulla corrispondente allocazione delle risorse finanziarie. Gli aggiustamenti coinvolgono quasi la metà (49 per cento) delle misure (investimenti e riforme) che compongono il Pnrr. Ben il 76 per cento del totale delle risorse attualmente disponibili (145 miliardi di euro su 191,5) sono in qualche modo coinvolte da almeno una delle revisioni. Il quadro complessivo è dunque di affanno generalizzato nella capacità di portare a termine il Piano nei tempi (giugno 2026) e secondo gli obiettivi quantitativi inizialmente concordati.

Le modifiche proposte riguardano tuttavia un’ampia gamma di profili differenti per natura e per rilevanza. La maggior parte di esse sono adattamenti meramente formali che aiutano a chiarire la terminologia descrittiva dell’investimento o della riforma e servono a garantire meglio il completamento del Piano sul versante amministrativo. Gli altri aggiustamenti sono invece sostanziali: nel 21 per cento dei casi si tratta di differimenti nelle scadenze, nel 40 per cento di rimodulazioni quantitative o di ridefinizioni dei target con abbassamento dell’asticella degli output da realizzare e nel 5 per cento di cancellazioni di intere misure o sub-misure. Tra le missioni che sono interessate da una quota maggiore di proposte di modifica sostanziali ci sono quella della salute (90%) e quella dell’istruzione e della ricerca (80%). Nel documento del governo le proposte di modifica sono motivate sulla base di una s erie di circostanze, tra cui le più ricorrenti sono l’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia a seguito della guerra in Ucraina, la rilevante incidenza dei “progetti in essere” e la numerosità dei soggetti attuatori che ostacola il rispetto delle scadenze.

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