L a Sardegna si spopola. E questo produce conseguenze, in termini di risorse, infrastrutture, servizi, ed anche in termini elettorali, avendo il collegio dell’isola perso anche un deputato. Si cercano rimedi, come il bonus bebè, i mutui prima casa, gli incentivi alle imprese nei comuni sotto i tremila abitanti con bandi delle Camere di Commercio. Mancano però una visione d’insieme e una strategia di lungo respiro.

Non si tratta infatti di una questione solo sarda, sono alcuni territori italiani che perdono abitanti ed altri che li acquisiscono.

E in molti casi è un vero e proprio travaso che tendenzialmente dal sud muove verso nord. Con una sola eccezione: le isole, le quali si vanno spopolando ed impoverendo a tutte le latitudini del Paese.

Non vi è dunque solo una proverbiale questione meridionale. Vi è anche una, autonoma, questione insulare che solo di recente ha visto un dovuto riconoscimento nella modifica dell'articolo 119 della nostra Costituzione. Già perché, mentre altri Paesi sembrano più avveduti delle loro salienti caratteristiche morfologiche ed infatti dedicano alla questione insulare anche più norme costituzionali (come avviene in Spagna, Portogallo e altrove), da noi il patrimonio insulare, ivi incluse le due più grandi isole del Mediterraneo (ma anche la risorsa mare, con ben 8000 km di coste), da sempre sfugge ad una adeguata riflessione politica e culturale.

Non è un caso, infatti, come stato giustamente notato, che anche nel nostro lessico l'Italia venga rappresentata come penisola, come stivale, quasi fosse una sineddoche dell'intero Paese nella cui immagine, appunto, non figurano le isole. Per di più, una sineddoche senza nome, a differenza di quanto accade in Danimarca (ove la penisola si chiama Jutland) o in Turchia (Anatolia). Quindi più una asimmetria visiva, un angolo morto, che una sineddoche. Ciò che ha fatto sì che, storicamente, la questione insulare sia stata assorbita da quella meridionale, tant'è che anche il vecchio conio dell’articolo 119 della Costituzione (prima della riforma federalista del 2001) assimilava le due richiedendo indistintamente allo Stato di dedicare loro contributi speciali.

Lo stesso è avvenuto In Europa, dove agli albori la questione insulare, che pur coinvolge oggi oltre 20 milioni di persone e ben tre Stati membri-isole, è stata assimilata alla condizione ultra-periferica di taluni possedimenti coloniali. Poi, con l'adesione di nuovi Stati membri, ciascuno ha richiesto trattamenti speciali per singoli territori, tra cui le isole. Ma ancora oggi la questione insulare non è vista come causa del ritardo di sviluppo ma rientra tra alcuni fattori di penalizzazione cui la UE dovrebbe “prestare particolare attenzione” (art.174 TFUE).

La questione insulare non viene invece inquadrata ed approfondita in sé, indipendentemente dalle esigenze contingenti di questo o quel territorio e dalla sua ubicazione geografica. E manca una riflessione approfondita sulle fragilità e potenzialità delle isole finalizzata ad elaborare politiche e rimedi utili al loro rilancio. Chi conosce il patrimonio insulare, in Italia, sa infatti che esso vive una condizione di sviluppo molto rallentata, se non addirittura regressiva. Anche altrove questo spesso accade, con qualche illustre eccezione. Ma non ci siamo peritati di comprendere fino in fondo quali politiche hanno saputo generare sviluppo, nelle isole, e quali no.

E’ vero, il noto saggio di Acemoglu e Robinson (Why Nations Fail, 2012) dice che le nazioni falliscono non per il loro dato morfologico ma perché le istituzioni, pubbliche e private, non funzionano. Ma non ci dice come anche questo aspetto possa essere correlato alla dimensione insulare. Insomma, il nuovo art.119, comma 6 della Costituzione ci impone di affrontare tutte queste questioni. Facciamolo celermente o resterà lettera morta. E di norme vacue ed obsolete ne abbiamo sin troppe.

© Riproduzione riservata