C ome da copione, l’Italia rallenta e la Sardegna si è addirittura fermata anche con qualche passo all’indietro. Così indicano i rispettivi dati economici, anche se la classe politica, soprattutto a Cagliari, non sembra essersene resa conto. Infatti, dalle parti di villa Devoto, si spendono settimane e settimane per mettere insieme una complessa spartizione dell’apparato di potere e per predisporre una legislazione “omnibus” di aiutini e contentini da destinare alle più varie consorterie di sodali, amici e questuanti. Questo nonostante s’avvertano dei segnali inquietanti sul futuro che ci attende come sardi, con una nuova e consistente retrocessione del Pil regionale, stimabile in quasi quattro punti percentuali e con il tasso di disoccupazione in costante aumento, tanto da costituire un mortificante record fra tutte le regioni del Paese.

Parrebbe che la Sardegna rimanga sempre più prigioniera della congiuntura negativa che si sta attraversando, fossilizzandosi esclusivamente su una conduzione politica del giorno per giorno, con la litania degli aiutini “à gogo” fini a sé stessi, senza volere o saper guardare avanti, oltre il quotidiano, verso uno sviluppo di medio-lungo periodo.

D a tempo, da troppo tempo ormai, si è persa, o dimenticata, la capacità di ben allocare le risorse – sia che si tratti di capitali, di idee o di lavoro – in maniera produttiva, e non solo assistenziale, come oggi purtroppo avviene.

Il riscontro più evidente lo si individua facilmente osservando il costante processo di deindustrializzazione in atto (ultima, l’agonia della Sanac) che ha visto sparire due terzi delle nostre fabbriche, con una capacità produttiva che in trent’anni s’è più che dimezzata. Sembrerebbe svanita la convinzione che progresso ed industria siano un’accoppiata vincente, nonostante sia dimostrato che le regioni dove vi è un più alto grado di benessere (e con un basso indice di inoccupazione) siano poi quelle con il più alto numero di fabbriche.

Contestualmente dalle nostre parti si è andata sempre più affermando una diffusa ostilità, quasi una demonizzazione, per il mondo delle fabbriche, nella convinzione che sia soltanto portatore di guai (alla salute innanzitutto, sia delle persone che dell’ambiente) e non più, come un tempo, portatore sano di modernità, di benessere e di progresso.

Si tratta di un atteggiamento sempre più diffuso e che trae una delle possibili cause nella convinzione d’una supposta estraneità della fabbrica dall’habitat identitario dell’isola (non diversamente da “s’istrangiu” eucaliptus), che lo intende mantenere sempre più proiettato, culturalmente e socialmente, verso un ritorno alle immaginate serenità del mondo contadino d’un tempo passato, a dispetto delle sofferte povertà e de “su famini” ancestrale diffuso. A questa andrebbe aggiunta quella d’una opposizione preconcetta ad ogni nuovo inserimento, ritenuto, a prescindere, predonesco e ladresco, effettuato da “prenditori” di agevolazioni, per definizione furbi e spregiudicati. Il risultato fortemente negativo di questa demonizzazione lo si riscontra nella continua fuga dall’isola di giovani che non hanno più, come un tempo, le loro robette in una valigia di cartone, ma un diploma di laurea nelle loro eleganti “ventiquattrore”. Si tratta di un forte vulnus inflitto al nostro futuro, di cui hanno responsabilità anche i fautori di quei troppi “no”.

Certo, per quel che consta, il modello industriale “anni ’60” non va più bene, né andrebbe in alcun modo replicato. Sostenibilità, automazione, circolarità ed innovazione sono divenute infatti le nuove caratteristiche dell’industria 4.0 dei nostri giorni. Con l’obiettivo di privilegiare settori divenuti sempre più strategici come quelli dell’agroalimentare, della farmaceutica e dell’energia. Per realizzare queste nuove immissioni ci vorrebbe la disponibilità di una cassetta degli attrezzi con le chiavi del credito e della ricerca, chiavi che attualmente non paiono qui da noi facilmente reperibili.

Ora, per non rimanere a mani nude, disattrezzati, occorrerebbe riarmare e rinnovare l’attrezzeria dello sviluppo, ridando consensi, risorse, strumenti e spazio ad una strategia industriale innovativa, coraggiosa ed efficace, che riporti la fabbrica – il lavoro industriale – al suo giu sto posto negli equilibri economici ed occupativi della Regione.

Con l’obiettivo di riuscire a ridare capacità e consistenza al sistema produttivo per riprendersi e rinnovarsi, attraverso ll sostegno, convinto e deciso, alla nascita di nuove fabbriche in grado di cogliere le opportunità apertesi in un mercato profondamente trasformato dalle emergenze pandemiche e belliche.

Storico e scrittore

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