F orse facendo la spesa non ci avete ancora fatto caso: il pacco pasta da mezzo chilo che avete messo nel carrello fino a ieri spensieratamente, sapendo che mediamente poteva costare 0.90 centesimi, adesso costa 1.30, se non 1.40 euro. L’aumento è vertiginoso: più del 40% in più. È questo il primo effetto della guerra in Ucraina, e dobbiamo sapere che potrà ancora crescere.

Più il conflitto dura, infatti, più continua la curva verso l’alto del grano e dei suoi derivati. Dove il prezzo non è ancora aumentato è perché qualcuno sta smaltendo delle vecchie scorte. O perché qualcun altro impone i vecchi prezzi ai produttori, per fare concorrenza sleale ai suoi concorrenti. Ma di questa guerriglia, come consumatori, purtroppo non possiamo rallegrarci: perché se vendono sottocosto, i produttori chiudono. E se i produttori chiudono, i prezzi poi aumentano di più, come per un serpente che si morde la coda. Ma il pacco di pasta è solo la punta di un iceberg.

La guerra in Ucraina non è l’unica causa di questo boom, ma solo la goccia che fa traboccare il vaso. Scontiamo la crisi climatica e il calo della produzione in Canada. Poi le conseguenze delle proteste no vax sul mercato americano. Quindi conseguenti accaparramenti degli Stati Uniti. Ma anche quelli della Cina. Mai come in questo mondo globale, ma avvelenato da guerre ed epidemie, un battito d’ali di farfalla in un continente produce un terremoto in un altro: una crisi in un mercato ne innesca una in un altro.

E d ecco un altro esempio: Ucraina e Russia producono il 30% del mais di tutto il pianeta, e l’impennata dei prezzi del mais produce anche quella del costo della carne in Argentina. Le rotte dei mercati soffrono la guerra, ma tutti i prezzi sono collegati. Così accade che il costo del mais influenzi quello della razione di ogni bestia allevata del pianeta, e che di conseguenza si alzino i prezzi di tutta la filiera: uova, latte, prodotti di macelleria. State pensando che possa salvarsi l’ortofrutta? Non è così: sale il prezzo dei fertilizzanti perché oltre il 10% vengono dalla Russia. E questo fa salire tutti i costi di coltivazione. prezzi.

Possiamo evitare la carestia in Italia (che compra190 milioni di cereali dall’Ucraina e 600 dall’Ungheria) e nei paesi del terzo mondo (molto più grave, perché quello è il cardine delle diete povere) solo se saremo in grado di varare subito un piano Marshall europeo per l’agricoltura. Ogni giorno di guerra aumenta i costi dei nostri trasporti, perché aumenta il costo dell’energia, e il costo dei trasporti incide in primo luogo sui generi di prima necessità, diventando un altro fattore di crescita di quegli stessi prezzi. L’ultimo dei problemi riguarda il Mar Nero: se rimane chiuso perché è il teatro di una battaglia navale, come si può immaginare che le navi silos lo attraversino spensieratamente? Ecco perché una guerra in Ucraina, nel mondo moderno, nel cuore del granaio del pianeta, al confine dell’Asia, ha effetti in tutto il mondo, in Europa e in Italia, e anche in Sardegna. Nel 2020 una tonnellata di grano, sul mercato mondiale, costava 180 euro e il mais 175 euro. Oggi costano 440 e 314! La tentazione di una opportunista autarchia è dietro l’angolo. Un paese europeo - l’Ungheria - ha già deciso, lunedì scorso, di violare le regole del mercato unico europeo, e trattenere tonnellate di cereali per il proprio autoconsumo.

Ecco perché - oltre alla speranza che il governo tagli subito l’Iva per abbattere i prezzi dei generi di prima necessità - dobbiamo aggiungere una riflessione sulle scelte strategiche della Commissione in questi anni: abbiamo ridotto

le produzioni nazionali in nome dell’ideale della riconversione dei suoli. Ma quando si rompono le filiere della globalizzazione e con loro le spirali dei prezzi che credevamo virtuosi, la tempesta si abbatte nei nostri carrelli della spesa. Così diventa indispensabile calmierare il prezzo delle bollette energetiche aziendali. Ma è ancora più importante un cambio di paradigma: bisogna tornare alle filiere corte. Ai prodotti coltivati a chilometro zero. Alla capacità di autosufficienza nazionale. In questo inizio di secolo così tumultuoso, non si può più far produrre ad altri quelli che dovremmo produrre noi stessi. E non si può più illudersi che una guerra lontana non ci riguardi.

© Riproduzione riservata