U no dei più potenti pregiudizi (e conseguentemente una delle più frequenti cause di distorsione del nostro giudizio) è chiamato “Actor-observer bias”: definisce come si tenda a valutare diversamente le cause, la qualità e la bontà di determinate azioni a seconda di chi ne è l’artefice e del tipo di relazione intrattenuta con lui o lei. Gli psicologi enumerano circa 200 “bias” (pregiudizi/preconcetti/distorsioni) che inficiano la nostra razionalità tanto da farci qualificare esseri razionalizzanti – non è proprio un complimento – più che esseri effettivamente razionali.

Per fare un esempio (magari dettato anch’esso da un pregiudizio), il trattamento dei media nei confronti di Draghi e del suo governo è stato improntato a una sistematica approvazione “a priori”, indipendentemente dalle decisioni via via prese. Gli applausi di tipo bulgaro all’autorevolezza del personaggio, l’indiscussa ammirazione, le definizioni quali “il governo dei migliori” e i continui racconti sopra le righe hanno superato di gran lunga le celebrazioni a suo tempo fatte al loden di Monti, alla serietà e sobrietà del capo. Non siamo ingrati, suvvia: ci ha spiegato lo “spread” e lasciato oltre centomila esodati della legge Fornero, cos’altro pretendiamo?

I miti cadono in fretta dai piedistalli: Draghi non riesce a diventare Presidente della Repubblica e non chiede neanche un seggio di senatore a vita come invece preteso e ottenuto da Monti; dà le dimissioni da Presidente del Consiglio senza essere stato sfiduciato dalle Camere; lascia cadere un’agenda che nessuno ha visto ma che molti dicono di aver raccolto; ringrazia urbi et orbi e infine saluta tra gli immancabili applausi (le elezioni disegnano un diverso quadro della realtà, ma questa è un’altra storia da scrivere).

Come sardi razionali avremmo molto da lamentarci sulle decisioni e non-decisioni di Draghi nei confronti della Sardegna, ma chi siamo noi per criticare e obiettare? Sandra Milo (il cui giudizio, pur avendo persino ammesso di non conoscere la Sardegna, è tanto importante da farne motivo di orgoglio) ci ha definito “fieri” – per questo le piacciamo. Fieri di non poter programmare le nostre vacanze e i nostri viaggi (ma perché viaggiare, benedetti? Si sta così bene qui), di non poter incontrare in Sardegna i figli emigrati (peggio per loro che sono andati via), di veder penalizzato il nostro turismo in favore di altre regioni a causa di una discontinuità territoriale meritata solo da noi (da cui la fierezza colta dalla Milo: siamo unici). E fieri di non avere energia o uno straccio di gasdotto (ma chi ha bloccato il Galsi, lo ricordiamo?), di vedere le pale eoliche di capitali stranieri ferire il nostro patrimonio naturalistico e i furgoncini Alcione prendere il posto di quelli Abbanoa, di non avere più l’Alisarda né ferrovie e strade degne di questo nome, di non poter assistere i nostri vecchi, i bisognosi e i fragili a causa di un sistema socio-sanitario che fa acqua da tutte le parti. Devo concludere con l’incredibile circoscrizione elettorale insulare per le elezioni Europee, unica tra Sicilia e Sardegna e dunque per noi penalizzante – votata indovinate da chi?

La necessaria rivoluzione consiste nel riuscire a valutare non il “chi” ma il “che cosa”, passo non semplice perché richiede di abbandonare la politicizzazione autocentrata e fine ai propri interessi per tornare agli obiettivi di benessere e sviluppo di una popolazione povera, arretrata e marginalizzata.

Le domande: saremo capaci di lasciare da parte le distorsioni dettate dall’appartenenza politica e metterci seriamente a pensare alla Sardegna che vogliamo? Quando prenderemo sul serio, ad esempio, le denunce che fa Mauro Pili e riacquisteremo il senso civico che ci manca? Quando ci riapproprieremo della cultura, anch’essa manipolata e asservita alla pseudo politica, e daremo voce al fondamentale bisogno di etica, non certo ultimo per importanza? La corruzione – di cui continuiamo a scoprire pagine non sorprendenti – non ha colore, è solo criminale e bloccante.

Tuttavia non sono sicuro che abbiamo tempo per evitare il disfacimento e che saremo capaci – un altro pregiudizio? – di cambiare: siamo troppo “fieri” per imparare.

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