U na giornalista è in diretta televisiva: concentrata sul suo lavoro non si cura delle persone che le passano accanto. Fino a quando sente una mano sul sedere. Si ferma per qualche secondo e poi riprende. Dallo studio il conduttore la blocca: “Quel tipo ti ha messo le mani addosso”? “Sì”. È un attimo: l’operatore gira la telecamera mentre i colleghi chiamano la polizia che stringe le manette ai polsi del molestatore e lo porta via. Nessuno ha nulla da ridire. Succede in Spagna. Italia, stessa scena: la giornalista si blocca e affronta il tipo che ritiene di sfogare il nervosismo per la sconfitta della squadra del cuore.

C ome? Con una sonora pacca sul sedere della donna in diretta tv. Dallo studio il conduttore la richiama: “Non prendertela”. Lei invece se la prende, eccome, e denuncia il fatto prima sui social poi in caserma. Il molestatore finisce sotto accusa. Mentre in tanti dicono “che sarà mai”. Ecco. Dalle nostre parti per una pacca sul sedere non si finisce in galera ma sotto processo sì, solo che si apre il dibattito, alimentato peraltro da sentenze discutibili. Una, per esempio, assolveva il toccatore di sedere perché stava giocando, e poi è durato poco, una manciata di secondi. Che sarà mai.

Viene da chiedersi cosa sarebbe successo dalle nostre parti se il presidente della federcalcio durante una premiazione avesse baciato sulle labbra una giocatrice. Quasi certamente nulla - goliardia, festeggiamenti, felicità - e se lei avesse detto qualcosa l’avrebbero convinta a tornare sui suoi passi. In Spagna, invece: scioperi, dimissioni, solidarietà per chi ha subito il bacio non voluto. Si potrà discutere se le manette per una pacca sul sedere siano una misura adeguata oppure no, e forse non lo sono, ma probabilmente anche quest’ultima affermazione è figlia dell’educazione più diffusa, per cui, alla fine, sì, è riprovevole, ma c’è modo e modo di punire.

Proviamo allora a pensare a una cosa nostra, la macchina, per esempio, e immaginiamo di trovare qualcuno che sta aprendo lo sportello. La nostra reazione sarà immediata: i più coraggiosi affronteranno quello che non avremmo dubbio alcuno a definire subito un ladro, gli altri chiameranno di corsa i carabinieri. Vale per la macchina come per la casa o per la borsa, per qualsiasi oggetto che ci appartenga. Oggetto. Se si tratta di persone, del corpo delle persone, in questo caso delle donne, la reazione è diversa. Non si fa, però, dai, cosa c’entrano i carabinieri.

Dovremmo soffermarci a riflettere sul perché toccare le cose sia nella nostra testa più grave che toccare le persone. Anche noi donne, che siamo immerse nella stessa identica cultura patriarcale, quante volte prima di sollevare la voce ci abbiamo pensato e alla fine abbiamo lasciato correre, altro che denuncia.

Tutto quello che sta succedendo, però, e che forse è sempre successo solo che ora se ne parla di più, saranno i social, sarà una maggiore consapevolezza, sarà quel che sarà ma la cronaca ogni giorno ci mette davanti a episodi di violenza sulla donne, bambine, ragazze, anziane, a casa, a scuola, in ufficio, in strada. Ora, dicevamo, che vediamo tutto questo, nei casi più gravi c’è un’indignazione corale. Ma poi arrivano le sentenze che sembrano riportare tutto al pensiero di prima. Il bidello stava giocando, il capufficio è stato frainteso, gli amici pensavano di aver il consenso. E se per i fatti di Palermo è difficile prendere le parti del branco, si può sempre andare a guardare cosa aveva fatto lei, la vittima: aveva bevuto. Ah, cara ragazza, lo sai che il mondo è cattivo, devi stare attenta. Quando è proprio lei, quella che non è stata attenta, che dobbiamo tutelare di più, come del resto fa la legge nel preveder e un’aggravante. Ma poi, scusate, uomini, voi che non fareste mai del male a nessuno, come potete tollerare di essere considerati incapaci di trattenervi? Non vi sentite offesi? Ecco, proviamo a partire da qui.

© Riproduzione riservata