C ’è un dibattito, trasversale ed appassionante, sul ruolo che giocherà l’intelligenza artificiale sulle vite future. La discussione sta coinvolgendo, a cerchi concentrici, tutte le aree che interagiscono nelle varie agenzie sociali e nel loro tessuto connettivo, economico, morale ed intellettuale. Gli avanzamenti straordinari delle soluzioni date dalle varie procedure applicative basate sull’IA hanno destato ammirazione ed inquietudine.

Q uesti progressi hanno costituito la base per accesi dibattiti sulle potenzialità di tali metodiche e sul rischio che un giorno sempre più vicino l’IA possa lanciare un’Opa finale sull’intelligenza umana. La situazione attuale vede contrapporsi intellettuali, scienziati e filosofi sul tema del se e quando questo “sorpasso” avverrà e perché esso sia da costoro giudicato come possibile. Alcuni scienziati informatici pongono, ad esempio, la data del 2050 come quella che vedrebbe l’alba di una struttura umanoide di un cervello senziente frutto di più avanzati processori miniaturizzati e potenti, capaci di elaborare miliardi di informazioni in frazioni di secondo. Credo che queste concezioni siano insieme frutto di una cattiva preparazione informatica e di una pessima conoscenza della neurobiologia del cervello umano.

Brevemente la prima tesi. Chi ha frequentato le scuole superiori ha appreso che Newton e Leibniz, indipendentemente l’uno dall’altro, hanno stabilito le leggi matematiche del calcolo differenziale. Ora, i veri addetti ai lavori confermano che queste leggi sono i capisaldi dei calcoli che avvengono nei computer. Questi calcoli hanno dei limiti che non dipendono dall’evoluzione delle macchine e che valgono anche per i supercomputer e per quelli quantici. In pratica per tutti questi sono necessarie premesse certe per dirigere i calcoli su un risultato certo che l’IA ottimizza in modo impressionante, come ad esempio l’impareggiabile abilità in certi giochi o l’infallibile mira dei sistemi anti missile. Tuttavia, e qui entro nella seconda tesi, l’intelligenza al carbonio, da quella del verme a quella umana, parte da presupposti mai certi, formulati attraverso “pesi” motivazionali e di ricompensa altamente variabili che si distaccano con progressione elevata dalle condizioni iniziali via via che si dispiegano nel tempo. Da qui l’impossibilità di ingabbiarli in equazioni differenziali. Quello che per un computer sofisticato alla massima potenza è la condizione iniziale rigidamente stabilita come “input”, per il vivente è un vero atto creativo che richiede una diretta manipolazione astratta delle circostanze operative sulla base delle esperienze passate e sulle innate disposizioni formulate su combinazioni che una pressione evolutiva durata centinaia di milioni di anni esercita su miliardi di neuroni su disposizione di interazioni di trilioni di molecole di prodotti genici a livello cellulare ed intercellulare. Anche se il cosiddetto “neural chitchat” si rivela un pozzo di nozioni, la sua capacità creativa non si avvicinerà mai a un verso di Quasimodo, ma neanche potrebbe pareggiare l’esilarante pappagallo di Churchill che inveiva contro i nazisti trent’anni dopo la fine della guerra.

Neurologo

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