L a vittoria di Emmanuel Macron è stata accolta con un sospiro di sollievo. Una buona notizia per l’Europa, si è detto. Macron è giovane ma ha esperienza, avendo già occupato l'Eliseo per cinque anni, è il Presidente di uno dei due Paesi pilastro dell’Unione e con tutta probabilità ne sarà l’autentica guida politica negli anni a venire.In Italia però la vittoria macroniana lascia anche un po’ d’amaro in bocca. Al primo turno, la somma dei partiti “populisti”, di destra e sinistra, superava il 50%, mentre i partiti “tradizionali” (gollisti e socialisti) erano scomparsi senza lasciar traccia.

S in qui, il panorama ci risultava familiare. Al secondo turno, però, Macron ha preso il 58% dei voti. In parte, come sempre ha contato il richiamo “repubblicano” e “antifascista” contro la candidata del Rassemblement National. Ma non sarebbe valso a granché se Macron non fosse stato un candidato in grado di persuadere i francesi.In Italia, a ben vedere, manca proprio una offerta politica simile. Al di là dei travasi di voti fra Movimento Cinque Stelle e Pd, fra Lega e Fratelli d’Italia, il populismo è la cifra della politica italiana da anni. È vero, chi ieri voleva uscire dall’euro o predicava che “uno vale uno” oggi consegna i suoi voti all’ex capo della BCE, il volto più riconoscibile della tecnocrazia europea. È improbabile però che le sensibilità degli elettori siano cambiate granché e forse siamo solo in attesa di populisti di nuova generazione.Nello stesso tempo, è difficile sostenere che il nostro sia un Paese più turbolento della Francia. Che non esista un “blocco” di centro, propenso a votare più col portafogli che con la pancia. Ma i partiti centristi sono ben lontani dal 28% fatto segnare da Macron al primo turno.Perché? Le due leadership più significative espresse da quel blocco politico, Berlusconi e Renzi, non hanno, per motivi diversi, mantenuto le proprie promesse di cambiamento. Se è vero che la politica aborre il vuoto, però, le leadership dovrebbero potere emergere.Negli anni Novanta, quasi tutti i dibattiti in Italia venivano ricondotti al sistema elettorale. Ne abbiamo discusso, per anni: alla riforma elettorale avevamo affidato il compito di abbattere la prima repubblica, poi ci siamo a lungo interrogati sul modello “giusto” per il nostro Paese. Alla fine siamo tornati a una forma un po’ imbastardita di sistema proporzionale, come dire alla casella di partenza.Il problema del sistema elettorale italiano è, molto semplicemente, il seguente: non consente al cittadino-elettore di scegliere chi lo governerà. Nella cosiddetta seconda repubblica, ne aveva avuto almeno l’illusione, con il Mattarellum prima e con il Porcellum poi. Con l’attuale Rosatellum, una legge pensata dai centristi a propria tutela e che poi ha consegnato il Paese a Lega e Cinque Stelle, anche quell’illusione è scomparsa. La scena politica si è frammentata e la lezione che apprenderemo da questa legislatura è che non importa se io voto Lega o Pd, e quello che promettono gli uni rispetto agli altri. Sono i giochi parlamentari, non le elezioni, a scegliere chi comanda.Tutto ciò suggerisce anche alle persone più propense a votare con la testa, che tanto vale votare con la pancia. Se il mio voto non incide su chi effettivamente governerà, non mi chiedo se la persona o il partito che sto scegliendo siano adatti a farlo: premio, con il modesto obolo della “x” sulla scheda elettorale, chi in qualche modo echeggia emozioni e punti di vista che sento un po’ mie. La forza dei populisti non sta nel suggerire proposte, che molto spesso non hanno, ma nel presentarsi come i ripetitori di uno sdegno diffuso.I francesi che si sono recati a lle urne domenica, al di là delle loro preferenze politiche, hanno dovuto rispondere a un quesito preciso: chi è, fra questi due candidati, più adatto a fare il Presidente della Repubblica? Innanzi a una domanda del genere, sicuramente le appartenenze contano ma conta anche la stima delle capacità del candidato. Il blocco centrista in Italia non ha un leader anche perché questo sistema elettorale tende a produrre leader “di pancia”, che interpretano rabbia e insoddisfazione. Se ci sta bene avere partiti che gareggiano a chi urla di più, salvo poi affidarsi a degli outsider come capi di governo, non è il caso di riaprire la discussione su questioni noiose come il sistema elettorale e l’elezione diretta del premier o del Presidente della repubblica. Ma se non ci sta bene, bisogna ripartire di lì.

Direttore dell’Istituto “Bruno Leoni"

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