L o scorso 10 marzo le autorità americane hanno dichiarato il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) e hanno aperto la procedura di liquidazione. La SVB era la banca delle start-up tecnologiche californiane, con oltre 200 miliardi di dollari di attivo e 175 miliardi di depositi. Operava con 47 filiali, di cui 5 in Europa.

L’istituto disponeva di un’ampia liquidità investita prevalentemente in titoli del tesoro americano. La politica monetaria di aumento dei tassi di interesse avrebbe drasticamente asciugato le linee di credito a favore delle start-up. Per compensarne gli effetti, queste imprese avrebbero attinto alla liquidità depositata nella SVB a un ritmo crescente e inaspettato. La banca si è trovata così a dover rapidamente smobilizzare il portafoglio titoli, monetizzando significative perdite che, a loro volta, hanno “mangiato” il capitale della banca, alimentando forti preoccupazioni nei depositanti. Si è così innescata una corsa agli sportelli da parte dei depositanti con fuoriuscita di oltre 40 miliardi di dollari di liquidità. Il risultato finale è stato tale da richiedere l’intervento delle autorità americane.Il crack della banca, di dimensioni certamente significative, ha risvegliato i timori dell’avvio di una crisi finanziaria con un effetto domino globale, come quello che si è sofferto dopo la crisi della Lehman Brothers nel 2008. La crisi sta avendo effetti sui mercati finanziari, suscitando preoccupazioni diffuse nei risparmiatori e con un forte eco nella stampa mondiale.

C i si domanda come possa accadere che una banca simile possa fallire e quali possano essere le conseguenze per l’economia del nostro continente. La prima domanda non è però ben posta. Il vero problema non è tanto se una banca simile possa fallire oppure no. Le banche, sebbene controllate dalla vigilanza, possono comunque andare male e quando non sono più stabili e profittevoli, devono essere chiuse. Il vero problema è come chiuderle e farle uscire dal mercato, minimizzandone le conseguenze negative e, al tempo stesso, proteggendo i depositanti.

Dopo la crisi finanziaria del 2008, vi è stata una profonda revisione della regolamentazione bancaria per aumentare la protezione dei risparmiatori senza usare la finanza pubblica. I paesi più sviluppati, oggi, hanno nuove norme che hanno reso le banche più robuste e che consentono di avere una moderna “rete di sicurezza” per gestire i fallimenti delle banche. Nel caso della SVB, ad esempio, le autorità americane sono state in grado di chiudere la banca il venerdì e riaprirla, con nuova veste, il lunedì successivo, assicurando l’integrale protezione dei depositanti. Si è inoltre aggiunta una robusta linea di credito nel sistema per contribuire ad assicurare la liquidità necessaria all’intero sistema bancario.

Quali possono essere le implicazioni per l’economia del nostro continente? In Europa abbiamo adeguato la protezione dei depositi, le regole e gli strumenti per la vigilanza e la risoluzione delle banche in crisi. Le banche europee sono, nel complesso, più robuste rispetto al passato e ancor più controllate. I depositanti possono dormire sonni tranquilli.

Non altrettanto però si può dire per le autorità di vigilanza e di risoluzione, che devono stare ben sveglie e pronte per gestire l’evolversi della situazione economica e finanziaria. Le crisi bancarie sono infatti eventi complessi, non sempre prevedibili e che possono innescare fenomeni di contagio che si intensificano rapidamente, così generando vere e proprie pandemie finanziarie.

Un’ultima annotazione riguarda le politiche di forte aumento dei tassi perseguite di recente dalle autorità monetarie. Si dovrebbe essere finalmente compreso che la “cura da cavallo” delle autorità monetarie può avere effetti sulla stabilità finanziaria e si richiede, pertanto, maggiore gradualità nell’aumentare i tassi di interesse. Ciò che lascia sinceramente sorpresi è come tali interrelazioni non siano, delle volte, attentamente ponderate dalle autorità.

Docente dell’Università di Cagliari

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