S ono molte le lezioni che potremmo trarre dalla recente esperienza di Qatar 2022, a partire dalla conoscenza di un Paese, e della capitale Doha, che probabilmente sino a ieri ignoravamo. I riflettori del campionato mondiale di calcio sono infatti potentissimi ma molto selettivi e non tutto viene illuminato (cosa accadeva nel 1982 in Argentina, con Jorge Rafael Videla?).

Certo, il mondiale è stata una grande festa, forse il più partecipato nella storia, con importanti ritorni economici. 440 milioni di dollari sono andati alle squadre partecipanti ed anche i clubs che hanno “prestato” i propri giocatori sono stati retribuiti. Uno studio della banca olandese Abn Ambro afferma che il Pil del Paese che vince il Mondiale cresce in media dello 0,7%; immaginiamo quello del Paese ospitante.

Inoltre, il Qatar è assurto agli onori della cronaca per le forniture di gas ed in particolare di gas naturale liquefatto (gnl), che ci aiutano nel diminuire la dipendenza dalla Russia. Ed anche per lo scandalo dei fondi occulti al Parlamento europeo, che si allarga a macchia d’olio. Insomma, in quest'ultimo periodo, la vicenda qatariota ci ha offerto molti spunti di riflessione.

A nzitutto sul tema delle materie prime; non solo i combustibili fossili ma anche le cosiddette terre rare. Nel 2011 erano infatti solo 14 le materie prime critiche censite, salite a 20 nel 2014, a 26 nel 2017, a 30 nel 2020. In dieci anni il novero di queste criticità è praticamente raddoppiato e queste materie provengono in massima parte da territori egemonizzati dalla Cina, compresi quelli africani. Da poco Cina e Qatar si sono accordate per quattro milioni di tonnellate di gnl ogni anno, per ventisette anni. Ed è nota la crescente intesa tra Cina e Russia su molti fronti, compresa l’Ucraina. Attenzione dunque: affidare la propria dipendenza, per determinate materie prime, ad un sistema straniero per liberarsi dal giogo di un altro, senza debitamente padroneggiare le dinamiche geopolitiche mondiali, rischia di tradursi nel gioco della coperta corta: ovunque la si tiri si resta sempre scoperti.

Un’altra lezione riguarda i rapporti tra regimi autocratici e Paesi, per così dire, democratici. E qui può essere utile guardare il Democracy Index curato dall'Economist per rendersi conto di chi, nel mondo, può vantare condizioni di democrazia sostanziali (la Norvegia è la prima classificata), chi rimane giusto ai titoli (Stati uniti e Italia, al 22° e 31° posto, sono definite “democrazie imperfette”) e i tanti regimi autoritari (Qatar, Russia, Cina, Afghanistan ecc., rispettivamente al 114°, 124°, 148° e 167° posto). Ovviamente complessa è l’interazione tra diversi sistemi e impossibile l’utilizzo di omogenei parametri di legalità. Ma ciò che colpisce è l’inclinazione di molte élites politico-economiche occidentali, che si dicono baluardo di libertà e democrazia, a farsi promotori (a pagamento) di immagine e interessi dei regimi autocratici.

Ma anche un’ultima lezione potremmo apprendere dai campionati mondiali appena conclusi. Nella sola città di Doha sono stati costruiti, in pochi mesi, ben sette stadi, che vanno a sommarsi ad altre strutture in cemento e acciaio che nei prossimi mesi verranno demolite o cadranno in disuso. Si era parlato del primo Mondiale carbon neutral, attento all’ambiente. Tuttavia, il Carbon Market Watch aveva già evidenziato gravi problemi ambientali nell’organizzazione dell’evento, inclusa la massiccia utilizzazione di risorse idriche che quel territorio non è in grado di sostenere. Si aggiungano infine le migliaia di vittime tra gli operai stranieri nella frenetica fase di costruzione degli impianti. Insomma, simili eventi, compresa la costruzione di grandi opere, non devono solo generare crescita economica; dovrebbero essere veicoli volti a promuovere nei Paesi ove si svolgono, un’adeguata transizione democratica, dei diritti umani, ecologica e culturale. Valori questi che lo sport potrebbe concorrere ad affermare.

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