D acché l’inflazione persiste, sia negli Stati Uniti (6%), sia in Europa (6,9%), entrambe le banche centrali, la Fed negli Usa e la Bce nel Vecchio Continente, stanno adottando politiche monetarie restrittive di contrasto all’aumento dei prezzi, facendo salire gradualmente ma persistentemente i tassi d’interesse ufficiali con cui il credito viene concesso al sistema bancario.

Le politiche monetarie restrittive hanno effetti importanti sulla stabilità degli intermediari finanziari, alcuni di segno positivo, altri negativo.

I l problema è che gli effetti negativi tendono a prodursi molto velocemente, mentre quelli positivi solo con un certo ritardo.

Gli effetti negativi sono essenzialmente due. Da un lato, il rialzo dei tassi d’interesse ufficiali influenza direttamente il mercato interbancario. Il rialzo, infatti, porta a una svalutazione delle attività finanziarie a basso rischio detenute dalle banche, in particolare titoli di stato e titoli sintetici cosiddetti Mbs (mortgage backed securities, cioè titoli con sottostante un insieme molto ampio e diversificato di mutui immobiliari). Quanto più alto è il peso di titoli di stato e di Mbs nel portafoglio delle banche e quanto maggiore è il loro orizzonte temporale di scadenza, tanto più alta è l’esposizione al rischio di rialzo dei tassi d’interesse.

Dall’altro lato, tassi d’interesse più alti fanno aumentare i profitti, perché le banche possono concedere prestiti con rendimenti più alti. Ma la trasmissione dai tassi a breve termine direttamente controllati dalla banca centrale ai tassi di interesse a medio-lungo termine sui prestiti e sui mutui è solo indiretta e lenta. In più, il rialzo dei tassi di politica monetaria si traduce in un aumento dei tassi d’interesse solo sui prestiti e mutui di nuova emissione, non su quelli emessi in passato. Perciò, come ha posto in evidenza Tommaso Monacelli ne “lavoce.info”, gli effetti negativi sui bilanci tendono a prodursi molto più velocemente degli effetti positivi. È il motivo per cui le banche si assicurano contro il rischio di rialzo dei tassi di interesse.

Durante la pandemia da Covid le banche, sia negli Stati Uniti che in Europa, hanno visto aumentare i loro depositi, essenzialmente per motivi di risparmio precauzionale. In quella fase, la domanda di prestiti era relativamente bassa, perciò le banche erano incentivate a investire la grande disponibilità di depositi in eccesso rispetto ai mutui in titoli di stato e Mbs. Questi ultimi, da un lato, permettono di diversificare il rischio di default su un’ampia platea di mutui immobiliari, dall’altro hanno però una forte esposizione al rischio di interesse. Si calcola che il rialzo dei tassi dal gennaio 2022 abbia prodotto nel sistema bancario americano una svalutazione dei titoli (sia di stato che Mbs) pari a circa 800 miliardi di dollari.

Le recenti vicende di Silicon Valley Bank (Svb) sono un caso da manuale di corsa agli sportelli. La banca aveva raccolto grandi quantità di depositi concentrata in relativamente pochi depositanti (le start-up della Silicon Valley). Circa il 96% dei depositi in Svb non erano assicurati contro il rischio di fallimento della banca. Il rischio di una possibile corsa agli sportelli nel caso di rialzo dei tassi era dunque sostanziale.

Il problema per la conduzione futura della politica monetaria risiede nel dilemma che si crea tra inflazione e stabilità finanziaria. Da un lato, l’inflazione mostra forte persistenza nella propria componente “core”, cioè quella depurata dei prezzi di energia, petrolio e beni alimentari. Ciò richiede di insistere con gli incrementi dei tassi di interesse, per comprimere l’inflazione verso il target del 2 per cento. Dall’altro lato, però, i rialzi dei tassi possono essere catastrofici dal punto di vista della solvibilità delle banche, soprattutto se nei loro bilanci l’esposizione al rischio stesso di rialzo dei tassi è molto diffusa. La gestione del dilemma, conclude Monacelli, «renderà le decisioni delle banche centrali ancora più difficili di quanto non fossero fino a pochi mesi fa».

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